I beffardi

Alla ricerca del figo (e delle pesche) perduti

DI SOLITO, PER NON SBAGLIARE, MI SCELGO LA BANCARELLA DEL FIGO DI TURNO. UNO LO TROVI SEMPRE.

 

2006_09_23 Toscana 142_wprnAndare al mercato è un po’ come prendere la metro: due attività di cui ho scarsissima esperienza da che sono diventata mamma.

Elementi fissi che ritrovo regolarmente, nonostante le assenze protratte: la vecchia col gambaletto a mezza gamba, la donna col velo e il bambino che dorme nel passeggino, la donna senza velo e il bambino che comunque dorme nel passeggino, l’uomo dei meloni cui rispondere – dopo logorante insistenza – che non amo i meloni, le due comari che chiacchierano come fossero in piazza o a casa propria, regolarmente abbullonate nella strettoia tra le bancarelle dove meglio possono intralciare, le stesse comari che al mio Scusi, permesso, non sentono e, dopo almeno cinque richiami, rispondono Sì, certo, calma!

La vecchia che ti investe con quattro borse di verdura e non chiede scusa, quella che ti investe col carrellino e non chiede scusa.
Il signore che ha mangiato aglio la sera prima e crede che non si senta mentre ti cede il passaggio.
La signora che ha mangiato aglio la sera prima e crede che non si senta mentre si complimenta con la mia bambina superando la distanza di sopravvivenza.

In tre parole: tutto-come-sempre.

Quello che, invece, fatico a ritrovare, è la bancarella giusta, quella che vende la frutta buona. Un po’ perché le mie ricerche sono frammentarie e saltuarie, un po’ perché le bancarelle cambiano. Ma soprattutto cambiano i venditori.
Di solito, per non sbagliare, mi scelgo la bancarella del figo di turno. Uno lo trovi sempre.
Un ragazzotto ben piazzato che dà una mano al padre. Non necessariamente maggiorenne, ma poco importa. Di solito compro lì, ché così non devo rintracciare posizione, civico corrispondente, era prima di, dopo quelli che… quando, la volta seguente, tornerò alla carica.

E quindi, anche oggi, so di non sbagliare se cerco quel moraccione che due anni fa c’aveva le pesche buone. E pure i pomodori datterini.

Un cracker rimasto a metà, Isabelle è inquieta là sotto, sprofondata non certo nel sonno come i bambini degli altri, ma semplicemente nel passeggino che annega tra gambe, sacchetti, scrosci di sole improvvisi tra le tende delle bancarelle, e voci che la scuotono come brividi.

Per qualche fisima di origine insondabile, non mi fermo mai alla prima che venda la frutta. Tendo sempre ad andare in fondo, come a dire che se non fai fatica la roba non è buona. Perciò, gambe in spalla, mi guado tutto il mercato. E, altrettanto perciò, morettone mio so di trovarti più in là.

Pigiami da ospedale, cd inascoltabili, tovaglie di pizzo, tende da hotel in disuso, vestiti da casa pieni di fiori grandissimi (i vestiti e i fiori), ciabattazze in finto cuoio che te le immagini lise sugli alluci valgi. Ma anche frutta ridente che mi stuzzica da ogni lato.
Resisto.

Rotoli di carta cucina, padelle cancerogene al teflon, scoponi per la casa, bigiotteria di ogni dimensione, cibo per cani.
Resisto.

Polli sullo spiedo, taniche di olive e puzzo di pesce. Mutande di tre spanne per due, poi perizomi di due centimetri per tre. Pantaloni di felpa, gambaletti come quelli delle signore.

Finché compare, tipo apparizione, un ragazzo “tanto”: tanto moro, tanto alto, tanto muscoloso. Tanto tutto. Pure tanto giovane.
È lui.

Vedi, Isabelle, valeva la pena soffrire.
Vedi, Isabelle, la mamma ha un metodo efficacissimo.
Vedi, Isabelle… vedi quello che vedo io?
Che, non si sa come, il “tanto” figo pesche non ne ha…

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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