Altre Verità

Una cosa chiamata desiderio

CI HANNO INSEGNATO A FARE VALUTAZIONI: «PENSACI BENE». MA I DESIDERI NON SONO MICA AUTOMOBILI

 

Qualcosa di così facile, come desiderare, è un sentimento difficile. Come amare. Ritorna un manoscritto che terminai a fatica. M’incrocia la giornata senza preavviso, aperto per un conteggio parole, una verifica tecnica. Succhio qualche riga che mi stupisce. Penso forse non è tutto così buono. Salto, corro col mouse, vado a cadere dove capita. Capita ancora bene. Cosa c’è stato, in mezzo? Cosa ci lascia a metà tra il fare e il non fare?
Ci sono stati inciampi di salute, un fermo deciso, la diagnosi di asma. Il lavoro su di me. Accanto ai bastioni che dirigono scelte, le piccole venature dell’ordinario: riunioni di scuola, compere di Natale, prenotazioni di vacanze, corsi di crescita personale. Cucinare, uscire, caricare una lavatrice, passare lo straccio sui mobili, giocare a Uno coi figli, fare la spesa.

La circolarità dei giorni e delle settimane diventa circolarità dei mesi. E poi degli anni.

Certi incontri, mentre scintillano, confondono. Ho smesso la logica del dovere. Non credo più alla sua camicia di forza. Ho fatto troppe scelte dettate dalla sua gendarmeria.

Il senso del dovere è la garanzia di fare quando abbiamo paura di essere.

Quando non vuoi sentirti inconcludente, quando non desideri una cosa oppure il desiderio, marmocchio capriccioso, ha puntato i piedi e tu avanti «vuoi» andarci per forza. Dove finisce l’ispirazione e il coinvolgimento, facciamo il cambio guardia. Col dovere le cose sono molto più semplici: ho finito l’università, grazie a lui. Ho scelto lavori improbabili, grazie a lui. Con lui al comando, sei al sicuro. Sai che arriverai.

Il punto è: dove vuoi arrivare?

I bambini sanno desiderare: perché non hanno paura.

Ci sono desideri che nemmeno percepisco, perché la diga della paura li ha già cassati. Perché i «se» hanno già costruito barriere. E ci sono desideri che crediamo tali mentre sono debiti.

Il momento che ti metti la testa tra le mani sei già sconfitto: stai facendo conteggi, ma il desiderio è sgrammaticato, impreciso, e una capra in matematica. Più sfogli i pro e i contro meno senti. Sarebbe come decidere un ti amo davvero da una margherita.

L’istinto è un altro finto maestro: l’istinto ha come compito garantirti la sopravvivenza. Non la felicità. Per istinto scappiamo, per esempio.

Ci hanno insegnato a fare valutazioni: «Pensaci bene». Ma i desideri non sono mica automobili. Non c’è nulla da valutare, per desiderare. Prima desideri, poi trovi soluzioni. Noi siamo cresciuti al contrario, abituati, addestrati che ci sono cose che si possono desiderare e altre no. Ci sono cose che ha senso volere, altre no.

Quanto mi costa, se vale la pena, cosa comporta. A cosa serve. Però sarebbe un peccato non farlo.

Viviamo tutti in un campo base, quattro picchetti, il lecito e l’illecito autoimposti. Per spedizioni che non cominceremo mai. Rispondiamo al dubbio guardando quello che sappiamo di noi: se di solito una cosa mi piaceva, forse la desidero ancora. Se una cosa non mi piaceva, evidentemente non fa per me.

E, così, credendo di essere noi stessi, continuiamo a somigliarci. Senza conoscerci.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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