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Maternità

Ti invidio

PERCHÉ TI BASTA LA VITA

 

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Ti invidio.

Hai passato la mattina addosso a me come una molletta sul cavo dello stendibiancheria. Appesa. Tu, e le tue corde vocali ululanti, quel moaning mamma

A poco è servito dirti di aiutarmi con lo stendino (quello vero, non io), passami la roba umida, ma dai, sì, è bello. A poco è servito il cartone dei barbapapà. A poco è servito che guarda adesso c’è il sole. Un’occhiata sopra le tendine della cucina e di nuovo ti rotolavi in quel richiamo che sembra l’unico verbo pronunciabile. “Mamma.”

Ti invidio perché puoi chiamarmi. E sai che ci sono. Io, se ti chiamo, rispondi solo quando vuoi. E questo mi succede con tutti, bada, non è tua la colpa. Perfino se mi chiamo da sola a volte non ho risposta: i grandi si perdono in cazzate, piccola mia. E poi si cercano nei posti sbagliati. Ti invidio. Perché tu chiami e io (quasi sempre) arrivo (quasi subito).

Hai snobbato quella scodella che se mi sbaglio a chiamare bowl – come fa tuo padre – ti irrigidisci. Ci ho messo lo yogurt e una mezza tonnellata di smarties ricordando, con amore, che farteli versare di tuo pugno era cosa doverosa e degna di ineguagliabili gioie. Hai aspettato che lo smalto dei confettini scivolasse nel composto, intingendolo che lo yogurt sembrava l’acchiappacolore della Grey. Poi hai mollato il tutto. Ti invidio: perché molli e te ne freghi.

Perché mezzora dopo hai voluto giocare al letto, e, anche lì, tu comandavi e io dormivo al tuo fianco per finta, salvo gridare e aiutarti a ficcare la testa sotto le coperte quando arriva il mostro. Ti invidio perché i tuoi sono mostri famelici eppure mai invincibili. Perché basta che ti volti e mi vedi e, sebbene oggi io sia decisamente il mostro di turno, il tuo mostro si liquefà. Un po’ come quel colore degli smarties nel bowl.

Alle dodici meno dieci hai deciso che volevi mangiare. Due biscotti col cioccolato. In un orario che non è colazione, non è pranzo, non è ricreazione. Non è. Invidio che tu sei e non sei, e il tempo non è niente.

Ti ho disegnato un sorriso e due occhi bucati nella polenta perché ho pensato lo meritassi, pago con un piccolo gesto di cucchiaio che fa magie, la magia di tutti i sorrisi che tu mi produci senza posata alcuna.

Finché qualcosa ti convince di là, nella tua stanza.

Quel bus affollato di animali, le luci che arrivano gialle sul muro giallo. Che quella camera sia tutta tua. Chissà. Ti invidio perché non ti dimentichi mai nulla, e quel bus ti aspettava dal pranzo. Perché sai vagabondare cercandomi, perché sai stare da sola. E sola non ti senti mai. Entri là dentro, in quello che ti inventi, avanti e indietro. E a un certo punto te ne vai, senza un monito, senza un lamento. Stretta a una pecora perché il coniglio rosa è rimasto di là. Stretta alla vita, alle tue verità.

Ti invidio perché non hai bisogno di sogni, di progetti, di traguardi e di eroi. Perché ti basti e ti bastiamo noi.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 14

  1. Giovanna

    Mi chiedo: ma quand’è che smettiamo di bastarci? Cos’è che succede? Li invidio anch’io sai i bambini con quel loro mondo così piccolo eppure mondo. Bellissimo post Maddalena!

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      Maddalena Capra Lebout

      Non lo so, non mi chiedere, da tempo penso a quanta ricchezza hanno… Crescendo sviluppiamo sovrastrutture in parte dettate dalle esperienze e in parte dall’intelligenza ma anche dall’educazione, e perdiamo certe semplicità… Grazie giò

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  2. Mamma Avvocato

    Poetico, intenso, quasi dolorosamente vero. Perchè non riusciamo a restare così, da adulti? O forse lo siamo ancora, in certi momenti. Ad esempio, nell’innamoramento. A volte, in quei primi momenti, ci bastiamo noi e l’amore di turno e null’altro conta.

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      Maddalena Capra Lebout

      Ci ho pensato anch’io, e le mie riflessioni mi hanno portata a dire che l’innamoramento, come dici tu, è proprio una delle circostanze in cui torniamo a essere un po’ bambini. Forse bisognerebbe tornare a essere follemente innamorati della vita.

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