Altre Verità

Tempi da perdere, sogni da incominciare

È INCREDIBILE, FARE TUTTO AL CONTRARIO DEL SOLITO. SOMIGLIA A VIVERE. MA DA SVEGLI

 

Ormai dovrebbe conoscermi. La prima volta per una domanda, scusi la mia carta d’identità vale anche all’estero? La seconda perché no, non vale e così ho quattro fototessere nuove di zecca per stampigliare le quali ho dovuto reggere mia figlia, refrattaria alla breve distanza inferta dalla fotografa, ma la coda in Comune è più lenta del tempo a nostra disposizione. La terza perché è quella buona. Di volta, dico. Lei no, lei è sempre la Donna-Senza-il-Sorriso.

Isabelle fa i percorsi sulle sedie dell’attesa che per ben mezzora stamane l’hanno salvata dall’inevitabile mi stufo. Or ora, la sala vuota, le arriva imprevisto il rimprovero della DSS. E lei si crepa in un istante. Passa i cinque minuti successivi malnascosta nel mio seno, finché ci chiama Treccialunga, un’impiegata che ieri, alle mie domande, ha usato un tono del tutto simile a quello che in molti mi accusano di avere: scorbutico (io preferisco “deciso”, dall’aroma forte. Ma riconosco che può dare fastidio, e ormai le ultime vicende stanno cambiando perfino la mia timbrica vocale).

Per spegnere qualsiasi possibile ostilità ho il lasciapassare del sorriso di Isabelle, e la treccia lunga della signora: e in un momento le due cominciano a intendersi. (Mi dà sempre un velato dispiacere perdere l’occasione di uno scambio umano e uscire da un incontro senza essere almeno un po’ diversa da come ci sono entrata).

Per lo stato civile mi viene gentilmente chiesto di firmare a dichiarazione che sì, litighiamo, ma mio marito è ancora tale o, quantomeno, io sono tuttora in qualche modo con qualcuno coniugata. (Intanto scopro che da sciolti i capelli le arrivano sotto il sedere. E che comunque li taglierà).

E mentre quella compila mi avvedo che la dicitura “impiegata” non è più idonea. Magari nemmeno me lo chiede. Magari si può non scrivere. Magari ci rimette impiegata. Io impiegata non sono. Casalinga nemmeno. Mamma, di brutto. Non si può mettere mamma in cerca d’identità?

Ehm, senta, non sono più impiegata. Scriva: SCRITTRICE.

E quella lo scrive per davvero. Così, tu le dici quello che vuoi, e lei lo scrive.
E allora adesso mi tocca diventarci, Isetta. Tua mamma è una scrittrice, hai sentito? Hai capito com’è facile?
E d’improvviso sono felice.

Devi cominciare a dirle, le cose, per farle arrivare. Tu chiamale.

Quando veniamo via abbiamo tre gioie ballerine nei sabot: Treccialunga ormai sorride e tra l’altro è diventata ultrasimpatica da quando sono scrittrice grazie a lei. Io ho finalmente il mio documento. E per la prima volta in vita mia siamo sfacciatamente in anticipo. Siamo già pronte per andare, di lì, direttamente da papà, e poi con papà, a prendere Kick e Sarah.

Usciamo con una flemma che non ci appartiene. Né a me, per indole e per ritardo, né a lei, la piccola esuberante notoriamente rallentata solo quando la estrai dal letto.

– Isabelle, insegnami a perdere tempo.

Alzo le spalle, fai così anche tu, è presto, che vuoi farci!
Lei solleva le sue spalle rotonde e nude, che vuoi farci! mentre qualcuno ride. Sembra che abbiamo vinto una vacanza.

Non lo so più, come si fa a perdere tempo: mi è capitato l’ultima volta una dozzina d’anni fa, un volo che non atterrava mi costrinse all’attesa. Rapita dall’aeroporto e da quel senso di condanna che poi divenne gusto del proibito. Perché

perdere tempo vuol dire averne. Quindi: esserne ricca.

Saltiamo sui tombini, camminiamo esclusivamente sui bordi del marciapiede, ogni palo un girotondo, ogni ingombro un nascondino.

– Ah, l’autobus! Perdiamolo! (che tanto è troppo presto). Isa lo sai qual è il bello di perdere l’autobus? Che hai la panchina tutta per te!

E lei ride. Salta, fa una giravolta. E poi ride di nuovo.

E quando arriva un autobus che non è il nostro balzo in piedi, andiamo su questo, cambio di programmi, si va al metrò! Così ti acchiappi anche quello.
– Sì! Così mi siedo al finestrino anche lì.
(E non vedrai niente, ma apprezzo lo slancio).

Il metrò, conscio della mia intolleranza agli anticipi, mi offre dieci minuti da smaltire, e io sorrido. Facciamo finti selfie (ché i veri il mio cellulare non li ha mai imparati), qualche scalino, e poi sediamo nel convoglio. Lei cambia sedile quelle quattro volte e poi si assesta in posizione palo. Finché la donna giapponese dall’aglio insopportabile (alla mia sinistra) dichiara guerra aperta al filippino al sapone che sfiora i sandaletti della petite.

– Isa, ti dico un segreto: questa signora puzza.
– Mamma, ti dico un segreto, quetto signore puzza. – (E non lo fa per imitazione, perché puntualizza “sa di sapone”. E ha fottutamente ragione). – Vojo cambiare posto.

La gita finisce in braccio a me e poi su piano. Ma davvero piano. Le lascio passare la tessera nel tornello, penso che se s’inceppa ve bene uguale, che posso anche (finalmente) sbagliare uscita.

È incredibile, fare tutto al contrario del solito. Somiglia a vivere. Ma da svegli.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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