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Intermezzi

Stupori

Non fosse bastato dir loro dieci volte adesso andiamo. Non fosse bastato vedere come ghiaiavano nei sassi e nei pascoli e in quelle piste da sci ora mute di sole e calzoncini corti, lo capiresti adesso: sedute a un tavolino da salotto nemmeno troppo comodo, uno simile a quello da cui digito svelta due note anche io. Sedute accanto, la sorella maggiore e la piccola, i fogli su cui disegnano un grande scivolo e poi una casetta sull’albero, un percorso e il bosco.

Senza nemmeno guardare acchiappo la voce trillante di Isabelle, qualche affermazione di Sarah che la guida e, sospetto, insiste nel volerle insegnare a scrivere correttamente il suo nome. “Io faccio dove c’è lo scoiattolo con tante pigne faccio anche tante righe perché non si può entrare dentro perché se no lo scoiattolo esce fuori”: il che fa desumere un recinto. E anche se è vero che di scoiattoli non ne abbiamo visti, la sua testolina col codino alto come una fontana che zampilla si è presa tutto quello che poteva e poi dentro fa il suo frullato bambino. E così se non fosse bastato tutto quello che ho visto e che so, io

conosco questa urgenza buona dei piccoli e dei pennarelli:

somiglia alla mia di scrivere e fotografare. È correre dove versare. Perché la giornata e la gioia ci hanno vinti, e siamo ancora tutti dentro questo vento buono. Gli occhi espansi in rime di entusiasmo.

Ho visto paesaggi che ti slacciano dentro.

Ti fanno un puzzle del cuore, una figura che nemmeno la sapevi. Fatta di tanto, il ghiacciaio della Marmolada sul fondo, le rocce delle Dolomiti. Però fatta anche di poco, un albicocco arruffato sotto un telo che si spinge su un maso, un ceppo di legno con due gufi, una vacca troppo grande e un gatto minuto su una balaustra. La cappellina che non ricordavo dov’era, e i prati addormentati sotto la coperta dell’erba alta tagliata. Ho visto con gli occhi che erano al contrario: in un piccolo sottopasso umido dove gridarci Ti voglio bene sentire piccole pupille e poi uscendo trovarmi in uno scenario che dilaga, e gli occhi che s’allagano. Da quanto tempo non venivo più quassù? Dove i campi sono dorsi docili e le staccionate cornici, i gerani gonfiano i balconi e lo spazio è così ampio che è come imparare a respirare.

Tu esci da quel piccolo sottopasso come un segreto e adesso urli una vita, un universo che però di versi ne ha mille.

Siamo rigagnoli, qui dentro, che si buttano nell’oceano d’erba.

Sono rimasta un po’, ed era come quando sogni un posto che non esiste. Era come quando ricordi e tutto sembra migliore. Era che invece niente è prima o dopo, immaginato o desiderato: ma solamente vero.

Adesso scemano le voci, si spostano nel bagno della sera. Fuori s’incendiano le prime luci nelle vie. È andata bene essere ancor più in ritardo del solito. Salire su che era già pomeriggio, e così il sole aveva quel fare garbato e tondo che sbava piano sulle cose, quelle grandi schiene di collina, e quei muri di roccia, e sulle piccine, le albicocche, i rampicanti, i gatti sfuggiti a padroni già dietro alle minestre. Senza più sbiancare il cielo né affollare voci: lasciava credere che tutto fosse di quei cinque venuti da lontano.

Ju, sopra San Martino in Badia

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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