Altre Verità

Se ti avessi vista arrivare

L’istinto fa altre scelte.

Ti ritrovo stamattina, dopo mesi nei quali non è cambiato niente. Satellitare alla nostra famiglia, è bastato voltarsi dalla parte sbagliata, come due che occupano in qualche modo lo stesso letto. Per darci fastidio.

Abbiamo, entrambe, quella nostra grossolanità nei modi. Senza sgarbo, solo impacciate da emotività ossute.

Ti ritrovo stamattina, davanti a brioche che dici, per spezzare il tempo, “ne mangerei metà”. Sempre un po’ indietro, uguale a prima, a quella gonna svasata sulle tue gambe ancora piene di sole e di sud. Dell’agosto che finiva. Entrasti a piccoli passi saldi, i piedi un po’ aperti tentavano oltre le braccia conserte. Scrutavi la casa, quante foto, che belle! hai detto correndo sui bianchi e nero che intessono il salotto. Hai preso a parlare densa come i tuoi capelli, non riuscivo a infilarmi, né a raccoglierti. Devo farle qualche domanda, penso, invece ti capita che scrivo, questa mia confidenza, e preferisci questa curiosità nota, è un posto più comodo del tappeto in stanza dei bambini per cui sei venuta, di troppi convenevoli.

Ti ho dato una copia del mio libro, lo sgranocchi una mattina al parco, poi mi scrivi. Sembriamo due adolescenti che spiano i cassetti del comodino, ci offriamo piccoli omaggi, ogni tanto spingevi tutta quanta una storia in versi, in pochi sms. Poi venivi come niente fosse, i miei bambini che lasciano la tua mano per assalire la mia, io sulla soglia con Isabelle che cresce, ogni volta, la trovavi a nascondersi confusa dal sonno appena fatto. Mi porgi lo zaino dei tempi che ormai si va a scuola, le giacche accumulate dal passo, tutto bene? mentre i baci sono già asciugati, i figli invadono l’ingresso.

Che strana coppia, siamo state, noi siamo state come siamo partite: due donne con un lembo sempre che va addosso all’altra, un debole piacere in quel ritrovarsi, e poi riprenderlo a sé, lisciarlo con discreta urgenza, quella con cui improvvisamente salutavi, ciao, senza addentrarci mai troppo. Sempre la porta a metà, bussare senza suonare il campanello.

Se ti avessi vista arrivare, come ti ho vista sbiadita dalla folla, da allora, un paio di volte, localizzarti, sceglierti. Decidere lo sguardo e posarmi dentro un saluto dignitoso. Se avessi sentito la porta della caffetteria, stamane. Se mi fossi voltata piano, senza quell’impeto che mi ha preso quando il tuo saluto è sbucato improvviso sopra le quattro cose di bambina che Isabelle chiacchierava. Noi attaccate a quel bancone. A scegliere brioche.

Invece ti sento, mi giro, tu resti lì nel ciao che ti è bastato, io affretto due baci veri sulle guance. L’istinto fa altre scelte. Ha setacciato, nei mesi, a modo suo. E adesso mi rimonta come un affetto nascosto, un suo piccolo bottino. 

Mentre facciamo due parole, chiedi di noi sporgendoti piano. Ti sono rimaste quelle tane di occhi scuri dove ritrovo, intatte, tutte le nostre confidenze, forse a tua insaputa.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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