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Maternità

Quello è mio figlio

Quello è mio figlio.
Ha una maglietta bianca, i calzoni scuri. Hanno tutti una maglietta bianca, i calzoni scuri.

Ma quello è mio figlio.

Gli hanno detto di consumare al volo una cena rapida, oppure fare una merenda abbondante. Così si è riempito una scodella di cereali, poi ha mangiato prosciutto crudo al suo solito modo, le mani a mollo nella vaschetta, pizzica con le dita, ingurgita.

“A scuola mi hanno detto di farci la doccia, per essere puliti.”
Ho sorriso. L’ha fatta domenica, la fa una volta a settimana. Ci mette mezzora, peggio delle donne, sta sotto e non so cosa armeggi. Osservavo quel piccolo soldatino che anziché infastidirmi nella sua ossequiosa obbedienza questa volta mi fa tenerezza.

L’appuntamento. La sacralità. L’Evento.

Così s’è cacciato sotto il getto, la pancia piena di quella merenda, la cena non ci sta, è già tardi, alle sette dev’essere tutto bello pronto e inamidato, Mathias lo porta al teatro dove fanno l’ultima sessione di prove prima di stasera.

– Tirami indietro i capelli.
– Amore no, indietro sembri uno sfigato.

Gli ho fatto una mezza riga da parte, non troppo netta, non troppo secchiona. Sulla porta ciuffi determinati a infastidirlo erano già scesi davanti, solleticavano gli occhiali. Allora in quel gesto frenetico di riaggiustarli mi salutava appena, il bacio che prende senza darlo.

Le sue sorelle sono vestite a festa, io salgo sui tacchi, sistemo i capelli. Mi confeziono un po’, però dimentico di togliere la molletta scolorita. Somiglio a quello che sono: cerimonia e informalità.

Sediamo. Il teatro è raccolto, il palco è vicino, grande, alto e scandito da quel pentagramma di teste ordinate.

Quello è mio figlio.

Sullo sfondo corrono immagini di cartoni famosi, una canzone dopo l’altra celebra la fantasia, il sogno. Cantano senza un errore, un fuori tempo. E mentre le voci si levano, dentro mi sale un sentimento nuovo.

Mi sembra di capire la vita intera, di un genitore: un orgoglio dopo l’altro.

Dimmi che sarà così.

Mentre sei fermo e muovi solo la bocca, le braccia lungo i fianchi perché così ti hanno istruito, dieci brani, saperli tutti, aver provato ogni stacco ogni parola milioni di volte: è un orgoglio diverso dagli spettacoli dei piccoli. Sarà il teatro, sarà che cresci. È cominciare a vedere un figlio nei suoi traguardi ufficiali.

Quello che imparò a camminare, e fu festa. Imparò a dormire. E fu festa ancora maggiore. Imparò a leggere. A recitare una poesia. Una tabellina.
Quello che gli dici studia e dopo un minuto dice ho finito: ma come, di già? Sì, leggo due volte.
Le pagelle, le verifiche, le gite con l’oratorio estivo: mille tappe.

Ma l’orgoglio è stasera. Qui. Adesso. In questo spettacolo professionale, in

questo cuore che si slaccia e sembra che ha uno spazio nuovo. Ci fai un teatro intero, dentro. Anche lì.

Quello è mio figlio.

 

Photo by Marina Vitale on Unsplash

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 3

  1. Lorenzo

    Come ti capisco. A casa i fligli li vedi sempre uguali. Crescono è vero, ma sono sempre i soliti. Quando li vedi in queste occasioni, allora ti accorgi chi sono e cosa sono diventati. E l’orgoglio sale e ti fa lievitare. A volte non ti capaciti di quello che sanno fare, di quello che hanno imparato. E poi alla fine vedi il loro sorriso, la felicità per il solo fatto che tu eri li. Per loro. Solo per loro.

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      Maddalena Capra Lebout

      Tutto esattamente come dici. Mi ha stupito sentire questo orgoglio nuovo, è un sentimento proprio da genitore, diverso dall’orgoglio che si prova per sé stessi o il consorte. Un abbraccio.

  2. Pingback: 6 agosto 2008 | Pensieri rotondi

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