Maternità

Piccole fughe, piccoli cuori

Il record delle fughe dalla città. In quattro ore avevamo trovato, prenotato al volo e fatto i bagagli. Siamo sul lago d’Iseo, e la parte più divertente è stata sfidare le paure dei bambini. Perché i bambini sono dei sensitivi, Sarah voleva partire, poi si spegne dinanzi alla carta da parati écru, al letto a castello troppo alto e tutti quei soprammobili antichi, al pagliaccio tipo IT, a quella schiera di bambole su improbabili piedistalli.

“Sono horror” sentenzia. E come darle torto?

No, io qui non ci dormo, è inquietante – continuerà. Poi la convinco almeno a salirci, non sulle bambole, s’intende, ma sul letto. Da lì guarda sotto, è già notte e bisogna che dorma. Le scendono rivoli zitti, il suono fragile e rotto d’un sussulto e così si schiude, come una conchiglia: “Voglio tornare a casa…”

Casa. Il luogo dove il cuore è a forma di cuore.

Non di carta écru, non di lampadari imponenti e barocchi da casa di un tempo nelle colline. Non da pavimenti piastrellati di marrone, troppe madonne tristi nei quadri scuri e statuine da bazar delle nonne, non da bambole piene di merletti con quel bastone nel posteriore. Il cuore. Ha la forma dei posti noti o di quelli che sceglie rimestando non sai quali ricordi o profezie d’altre vite. Accade. A me accade spesso, che un luogo non s’intoni al sentire, che qualcosa strida nel profondo e chiami fuga. Adesso meno, alleno un’elasticità che mai mi fu propria, io eterna Sarah, in fondo, il velcro stabile dei sì e dei no. A volte scappai anche io, da certe case, da certe cose.

Mathias recupera una branda dalla dépendance, in vita mia due soli uomini sono stati così caldi, accoglienti e premurosi, come un vento buono: mio marito, mio padre.

Caccia le bambole assassine in un armadio, no non basta, pigolano in coro i pulcini. Così lui sale e le mette in camera nostra.

Poi c’è la staffetta degli insetti, cimici, ragni, Sarah dichiara tra il terrore e il riso, di essere aracnofobica: uno di quei ruoli che vestire pare metterci al sicuro. Del tipo ecco, l’ho detto, e adesso sono giustificata, mai più io e un ragno nello stesso locale. Cavallette, bestie volanti. Ma anche una rana grossa come una mela, nel giardino. Hai voluto la natura? Ci scommetto che mi direbbe “no, voglio tornare a casa”.

La spontaneità dei bambini. Senza fingere che, senza doversi far piacere una cosa. I sì e i no sono sì e sono no. Non sono forse, non sono però si deve. Adorabile libertà che noi usiamo chiamare capriccio o ribellione.

Quando salgo nella nostra camera eccole: basta accendere la luce e le statuine del terrore giacciono in fila ordinata sui guanciali, sono sei. Sei piccole dame di merletti agghiaccianti. Confesso che fanno un certo effetto. Capisco la “velata diffidenza” delle bambine.

Non che facciamo molto, il tempo è incerto, i nostri ritmi sono quelli del chi lo sa. “Nessuna fretta” si traduce naturalmente nel fare poco. Ma è sempre un’avventura, stare in un posto diverso.

“A me non piacciono le avventure”. Sarah rimane rigida, poi però la vedi nelle sue eterne mutande a giocare in giardino, fare percorsi, lanciare acqua e inventare vasche con la stagnola. I rivoli di disagio diventano rivoli d’acqua da quell’alluminio che non tiene, e lei danza, nei video che chiede, nel rallentatore, risate e voci deformate dal lento. Grandi eruttazioni. Grandi slarghi di vita.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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