Ti incastrano nel gabbiotto la testa. Sei: senza occhiali, senza orecchini, senza la catenella con le medagliette dei figli, senza la mollettina ai capelli, senza orologio. E pure senza cintura. Che tu dimmi cosa c’entra con una risonanza magnetica (RM) alla faccia.
Ma insomma sei cieca, sola e rinchiusa.
Per rassicurarti ti danno in mano una pompetta che pare le perette che hai fatto di tanto in tanto ai figli nei momenti meno gloriosi.
«Se ha bisogno di parlarmi la prema».
La dottoressa se ne va. Tu sbirci con la coda bassa dell’occhio quello spicchio di aria e di stanza salvato al marchingegno e ti vanti: «Io non soffro di claustrofobia».
La prima volta è stato due mesi fa ed ero serena e tranquilla. Ma per qualche ragione il cuore saltava come un pesce e il respiro era piuttosto rapido. Pensai bastasse chiudere gli occhi, ma appena li chiudevo la sensazione di perdere il controllo mi soffocava ancor di più. Infine procedetti con respirazione forzata da note tecniche di rilassamento autosomministrate. E ce la feci.
Ora sto con gli occhi fissi sul puntino che è sicuramente un errore sulla plastica di questo tubo. Mi chiedo come mai lo vedo così a fuoco nonostante gli occhiali mancanti. Mi dico che, per Dio, evidentemente la volta del macchinario è davvero vicina.
Ma mi vanto – di nuovo – di non soffrire claustrofobia. Mentre la pompetta sta leggera in mani solo lievemente umide.
E si comincia.
A questo punto potreste immaginarvi (come io stessa immaginai) un certo scompenso cardio-respiratorio. E invece no: una qualche me più sbarazzina e spavalda del previsto come parte il suono infernale lo associa a una band sul palco. Così compare la batteria, il cantante rock, le schitarrate al limite col metal.
E – giuro – sto per ridere ma devo trattenermi per non inficiare l’esame.
Ogni tanto la macchina fa una pausa, nella quale ho il vezzo di notare quanto cazzo penso.
È buffo, ma in un tubo da RM sembra che coi pensieri ci fai il concentrato, che siccome non hanno spazio per volare via ne conti a migliaia.
Io ho pensato: a quel puntino che chissà cos’era. A due lievi graffi azzurri immaginando qualcuno che si dibatteva. Al profumo di Nivea probabilmente mollato da un mio predecessore. A chi è venuto prima. Se sta maschera-gabbia che ti chiudono sul volto la disinfettano. Se invece no e quindi sto respirando a due centimetri da un’orda virale posata su di essa. Cosa succede se starnutisco. Cosa succede se mi viene da tossire. Cosa succede se mi viene un’idea geniale. Quanto cazzo dura.
Se la tizia è svenuta. Se lei e l’infermiera adesso stanno aprendo la mia borsa e mi prendono i soldi dal portafogli e poi lo rimettono dentro esatto com’era. Se mi rubano la catenella coi figli. (Se si prendono la felpa pazienza).
Perché questa RM dura così tanto se l’altra volta è stata veloce. Se se ne sono andate. Se la macchina ha un sistema automatico per cui in un modo o nell’altro poi si arresta e suona e qualcuno viene a prendermi.
E insomma alla fine l’idea geniale mi è venuta davvero: pensa che script, uno fa una RM ma l’operatore ha un collasso, un infarto, e quello rimane dentro, e mentre è dentro si rivede tutta la sua vita. Eccetera. Eccetera. Eccetera.