Che cosa sanno, i vostri figli, di voi?
In fondo chi se ne importa, lasciamo ai grandi, le cose dei grandi. In montagna, nella casa dei miei, c’è un lungo tavolo da pranzo, interminabile. E poi una zona salotto minuscola: ai tempi la tv non c’era o non era importante. In quelle due poltrone con schienali importanti, imponenti, sedevano uomini. Facevano discorsi tra loro. Le donne? Non lo so, forse stavano sulla soglia, la soglia è il limbo preferito, le donne hanno imparato a stare pronte per le evenienze, un piede nelle chiacchiere, l’altro alle faccende, ai figli. Le donne si siedono poco. S’incontrano agli incroci, i sacchi gremiti dalla spesa, come stanno i figli, quando danno le pagelle? Il loro parlare è un cerchio intorno alla maternità.
Che cosa sanno, i vostri figli, di voi? Come volete che imparino chi siete,
cosa si porteranno, di voi, quando scavalcheranno le notti umide di capelli e sbavi sui guanciali, i carillon, le favole prima di dormire, quel bicchiere che mamma ho sete mentre spegnete l’abat-jour?
In fondo chi se ne importa, è l’affetto, quello che cementa, che ci cuce ai cuori. Non è forse questo, ciò che siamo chiamate a dare e scambiare?
E i padri?
Chiedete ai figli due cose: cosa fa la mamma, e cosa sogna.
Se i figli non sanno rispondere, chiedete a voi stesse cosa volete dare, di voi. Perché i figli non sono appendici del nostro essere, eppure vedendo che sogniamo, imparano a non smettere di sognare; vedendo che desideriamo, imparano la religione sacra del desiderio.
Perché i figli non devono somigliarci, i figli sono esseri con un loro tempo e un loro volo, e in nessun modo possiamo decidere cosa e dove. Eppure cosa vogliamo che resti in quelle ali e in quelle piume? Quale esempio di donna lasciamo, accanto all’amore di una madre?
Pensiamo spesso a come interessarci a loro, li ascoltiamo, li motiviamo, li sosteniamo. Ma un figlio è il primo mondo cui ci affacciamo: cosa vogliamo dare di noi, al mondo? E una madre è il primo mondo per un figlio: com’è, questo mondo?
Un mondo che è saldo ma sa sfaldarsi in certe emozioni. Un mondo che è adulto e lontano, ma sa accovacciarsi vicino. Non solo per stemperare un pianto, per raccogliere un successo: ma anche per mostrare che non si smette mai di imparare, di desiderare, di giocare. E sognare.
Commenti 6
Sai che ci penso spesso, a cosa lasciamo di noi ai nostri figli. Ultimamente un po’ troppo spesso mi chiedo se le mie figlie mi conoscano veramente. Troppo ingabbiato nel ruolo di padre per essere semplicemente me stesso. I ruoli sono sempre stata la mia maschera. Ho sempre cercato di fare con loro ciò che mi piace, ma non riuscendoci, perché mi faccio trasportare ne loro mondo. Non riesco a portare nel mio mondo loro. Però mi hai dato un bella idea. Parlare di ciò che siamo, magari quando seduti sulla lunga tavola.
Un saluto
Lorenzo
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Sempre belli i tuoi commenti, caro Lorenzo: trovo un’umile e onesta presa di coscienza che ti fa onore. Sì, parlane a tavola, fate una cena dei sogni. 😉
Dei sogni, parlo poco anche con me stessa, figurarsi con i miei figli. A meno che non siano sogni per loro. Cio’ che faccio, per loro è un’insieme di gesti pratici, da mamma e non. Solo il grande con il tempo ha capito il senso del mio lavoro, almeno in parte. Pero’ tutti e tre sanno cosa mi piace fare e già mi sembra un buon traguardo. A parte la piccola, che si ostina a dire che mi piacciono le gonne….ma quando mai!!!! Considerazioni personali a parte, penso tu abbia ragione. Solo che i sogni, per me, sono qualcosa di intimo, di prezioso, di non sempre facilmente riducibile per renderlo comprensibile ad infanti… TUttavia penso spesso a cosa sapranno di me e, ancor di piu’, penso a come è davvero mia madre e a come poca parte di lei vedessi, da bambina. Da adulta, un po’ gli occhi ti si aprono, se vuoi. Per certi versi, fin troppo (e qui sto pensando a mio padre ed alla separazione dei miei). Da bambini, invece, l’egocentrismo rende difficile vedere i propri genitori oltre il ruolo di genitori, a mio parere. O almeno, noto che per i miei figli è cosi’, per ora. I tuoi sono interessati a te, come persona? Ascoltano quando parli dei tuoi sogni e di cio’ che ti piace?
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Sai che ti ho proprio pensato, dopo aver scritto questo post? Pensavo che i tuoi figli, attiva come sei, letteralmente respirano le tue passioni. Forse non proprio i sogni in senso stretto, forse non a parole, ma io credo che tu trasmetta molto. La mia opinione è che condividere sogni sia importante, anche se il figlio non capisce magari nei fatti cosa stai sognando, gli arriva quell’inclinazione, quell’energia buona: i bambini sognano di continuo, vuoi che non sappiano percepire i sogni degli altri? Tu prova: dilli come li direbbe un bambino.
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Ah, ps: io non mi metto “apposta” a dire i sogni, ma siccome in generale dico quello che sento (con le dovute maniere), va da sé che invento racconti a voce, descrivo scene che sogno, ci gioco proprio: per esempio quando torniamo da scuola, in inverno, spesso dico “Adesso ci mettiamo davanti al nostro caminetto…” e loro sanno benissimo che non abbiamo nessun caminetto ma che sto fantasticando perché immagino una casa in montagna. Si riallaccia con tante altre fantasie ad alta voce, vivere in montagna, appunto, avere una casa di legno, il mio amore per le gite… Oppure capita che vado in studio a scrivere e dico: “Bambini ho paura, sto lavorando a una cosa difficile. Ma questo romanzo mi renderà famosa.”
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