Maternità

Una mattina

P1070636_wGrazie, che tamburelli sul cubo accanto alla tv.
Ti ho acceso un canale a caso, ho creduto di farti piacere. Prima è uscito il messaggio di errore, perché la tessera Premium ci mette un secolo a caricarsi, poi ho cliccato a caso, devi esserti trovata faccia a faccia con una televendita. Coltelli o materassi. Chissà.
Tu sbatti le mani come faceva tuo fratello alla stessa età. Sullo stesso cubotto di legno etnico. Dicono che ogni bambino è diverso. Io dico che sono tutti uguali. Alla fine fanno le stesse cose, le stesse facce, gli stessi progressi. Cambiano solo piccoli, minuscoli particolari. Come il corpo umano, del resto: siamo diversi ma fondamentalmente identici.
Quello che cambia sono i miei connotati davanti a te: le orecchie diventano acutissime cimici. Lo sai? Ti sento avanzare per il corridoio, anche sul tappeto, pure se sto lontana, con la testa appesa a un futuro distantissimo o ingoiata in un calcolo sui costi per sanare l’umidità di questa casa-stagno (che di “stagno” non ha niente, di certo non le pareti). Il tuo pat-pat che risuona come le bolle di un pesce. Muta canzone. Chi altro potrebbe? Fa parte dei superpoteri di una madre.
E gli occhi? Ti ho visto almeno dieci tipi di sorrisi diversi. Poi i tuoi fratelli (prima loro, e meglio di me) hanno schiuso il guscio sdentato della tua bocca in un riso nuovo, speciale, che schiamazza, e allora sono corsa a prendermi quella noce di gioia che sembrava la nascita di una nuova stella.
Adesso sento solo la tv, hai smesso di giocare con le mani. Ti immagino in piedi, su e giù, poi su, dimentichi di appoggiarti e sei stabile, per qualche istante.
Ora parli, urli e balbetti.
E anche di questo devo dirti grazie.
Un po’ perché in sti giorni non è molto lo spazio che mi lasci. Un po’ perché sono i respiri come questo, che danno valore ai corpo a corpo. Animi le cose senza rubare nulla.
Sai diventare l’aria del mattino: entra con i suoi raggi pulviscolari, ti porta dentro quello che raccoglie fuori, il pane, le auto, i rumori. Pioggia, foglie, stagioni.
Frammenti di giorno e di storie, come questi pezzi di carta che ora ritrovo, briciole di pollicino, morsi ciucciati di pagine. Il tappo del bidet succhiato come un chupa chupa, un no che ti attraversa incompreso. E, ancora, racconti di pasti sotto al tavolo, cucchiaini rimasti, mani che seguono il cerchio traballante dell’abatjour in salotto, tentano la presa sulla scacchiera inerme delle ombre che quel giorno, là fuori, getta sul pavimento come una rete i pescatori.
Sono le cose piccole quelle che restano. Spezie nel quotidiano.
Grazie.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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