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A padri come questo

Lui le è accanto. La esorta: “Dai, ce l’hai quasi fatta!”
Cerca parole, sbandiera frasi imparate nei mesi. Altre gli salgono alla gola da sé, figlie di un cuore proteso che dilaga nella stanza. Figlie del momento.
Ha paura, la donna. Ne hanno tutte.

Vorrebbe prenderle quel ventre gonfio, versarlo fuori come un secchio, levarle il dolore, la pena, la paura. Vorrebbe farlo lui.
“Perché i figli non li fanno i maschi?” sospira lei tra una contrazione e l’altra. Sorride in modo fragile, il solo che le riesca, che le affiori tra quei capelli disfatti.

Io guardo quelle sagome a colori, nello schermo di un televisore che inonda il mattino: “Saprai che è la fatica di un raro privilegio.”
Spinge una volta ancora, strizza gli occhi, confusa e stanca.
E la piccola creatura scavalca il valico: bianca come un destino da scrivere. Rossa come un amore che nasce.

Il padre taglia il cordone. Si è tolto gli occhiali per asciugare l’emozione che gli gocciola. Li inforca, recide. E mentre l’ostetrica porge alla madre il suo bambino avvolto e stropicciato nel suo telo azzurro, lui guarda e non dice che una parola: “Grazie.”

Ci sono padri che partoriscono con le loro mogli. Ascoltano i lunghi gemiti, le ansie, le logorree sospinte dagli ormoni. Si alzano nel cuore della notte, cambiano il figlio. Lo vestono, lo lavano, lo portano a spasso. Abbassano le luci e la tv, porgono alla donna una tazza di tè, la lasciano riposare. Cucinano mentre dorme in pieno giorno. Recuperano un cuscino in più, da metterle dietro la schiena. Una coperta, una rivista da sfogliare, per evitarle di alzarsi. Raccolgono panni sporchi e confessioni. Diventano amiche e madri a loro volta. E, nello stesso tempo, restano Uomini. Mariti. Padri.

Sognano partite a pallone col loro figlio cresciuto. Balletti della loro bambina. Ma intanto cavalcano il momento, un pannolino in mano, un pianto da calmare.
Prendono con sé il piccolo che non dorme, a turno con la madre. Si alzano, preparano la colazione, portano gli altri figli a scuola e vanno al lavoro.
Tornano a casa la sera, stanchi. La barba incolta, la maglia non stirata. Salutano la moglie, accolgono lo scoppiettio dei figli tra le gambe. Sono a pezzi ma non lo dicono: si lasciano assalire dai piccoli come una diligenza, fanno la lotta, ascoltano i loro racconti, lodano le loro scoperte come non avessero altri pensieri, né fatiche. Magari gli scappa un gesto ruvido, una parola secca, un attimo di nervosismo. Ma sono lievi sfocature di un amore perfettamente a fuoco.

Per padri come questi, e per il padre dei miei figli, sono io, oggi, a fare un passo indietro, osservare con ammirazione e riverenza la quotidianità di gesti che troppo spesso si dà per scontata, e zittendo la mia loquacità strabordante, dire soltanto una parola: “Grazie.”

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 4

  1. danielazeta

    Solo una parola….bellissimo. E’ un dono grande riuscire a trasmettere le proprie emozioni con le splendide parole che usi tu…
    ps. Evviva i papà come questo!

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