Il battibecco dei tacchi sul pavimento di sopra, i fogli che sfiatano sotto i polsi ancora vestiti da un maglione. E poi
il forte abbaio di un tavolo spostato dal vicino, fiuto ogni rumore come una bestia scalza, per le vie di casa, tra muri spenti.
Oggi il cielo raggruma pezzi di fantasie disattese, non ho altro che inseguire le scie di aerei lontani. Cercare musica dentro ai rumori e poi. Poi assaporare quello che viene.
Da una testa minuta dove i minuti sono spazi immensi, dove il bicchiere del bere si rovescia e, pure, la sete non fa mai paura.
Io, sempre avvinghiata a qualche parapetto,
nemmeno il gelsomino è così arguto, lui spazzola l’aria pendendo, fendendo. Sotto il grande ombrello écru.
Forse qualcuno aveva ragione, non so posare una mano sulla vita come la testa di un bambino, carezzarla e lasciare che vada.
Come ai cancelli di scuola. Si crede.
Che sia di tanto orgoglio il frutto questo impuntarsi su un obiettivo, fissare il varco della rinascita. Un merito.
Gli uomini chiamano determinazione l’artrosi dei sogni che hanno una sola direzione. Quell’incapacità di essere.
Come quel gelsomino. Tutto ridente di tutto e di niente. A gongolarsi nell’altalena di un vento.
Con questo post partecipo al progetto Aedi digitali. Tema della settimana: #rinascita.