Intermezzi

L’oste

Ormai non cammina quasi più. Mi fa una certa pena. Allo stesso modo trascina i piedi e le parole: biascica sul selciato della corte, aspetta che qualcuno gli apra il cancello. Sulla bici ormai va di rado, lo vedevi col suo cestello carico sempre di qualcosa, con quella bocca e la sigaretta a filo, tenuta molle tra labbra quasi invisibili. Carico di commissioni. In mezzo alla grande via che dalla periferia scappa verso il centro, abbandonare le casupole di questo quartiere e iniettarsi nel traffico.

Se ne fotteva di tutti e di tutto, dello smog, delle ore, perfino della pioggia.

Talvolta si aggiustava un ombrello sghembo nella mano che si aggrappava come poteva al manico di quello, al manubrio della bici.

Dov’è andata, la tua corriera a due ruote? Forse ha finito il suo tempo, forse aspetta la primavera. E dire che il freddo non ti ha mai fatto paura.

Anche le sigarette ora stentano, capita spesso di vederlo circolare muto, senza quel piccolo indovinello di fumo.

Dove va, tutto il tempo? Avanti e indietro, le sacche tra dita contorte come radici, rientra e taglia la corte in diagonale perfetta, approda al retro della sua osteria, dalla parte delle cucine dove chissà chi, comanda pentole secondo i suoi dettami.

È uno di quegli uomini che diresti immortali. Uno di quelli che non te lo sai immaginare giovane, l’hai sempre visto così, non sai nemmeno se sotto il suo Salve ha ancora qualche dente.

Pensi che dev’esserci nato, così, così è sempre stato: una parabola che tutti conoscono qui a Baggio, un simbolo, una sorta di divinità.

Forse per questo nessuno gliel’ha mai detto: il furgone che gli consegna il vino ha grattato il soffitto dell’androne, all’ingresso. Ogni volta si mangia una spanna di travi malconce, le sfilaccia senza pietà.

E ti chiedi chi dei due ha più fibra: se quel legno, oppure l’oste. Hanno visto decine di annate, di auto e di umori. A quello cadono i calcinacci, a questo i calzoni.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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