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Altre Verità

L’imperativo di tornare

NOI RITORNIAMO UGUALI A SEMPRE NON PERCHÉ QUELLA SIA LA NOSTRA VERITÀ, MA PERCHÉ DIAMO PER SCONTATO CHE SI DEBBA RIENTRARE NEI RANGHI

 

Alla fine non l’ho mica usato: quel tavolino che, pure, siamo andati a cercare e poi abbiamo comperato a un Brico. Siedo appollaiata sul mezzanino, ancora la tv dei figli di sotto.

Le ultime ore. Non è bello tornare qui solo per spalmare un po’ di quel velo malinconico che arriva sulle cose quando di là la valigia già digerisce il pasto dei vestiti riposti. Non è bello nemmeno fare i bilanci. Voi li fate a settembre, a me settembre fa venire i brividi, è un mese che non mi si addice, ci ho messo la mia robe de mariage, anni fa, ci ho fatto un piccolo gioiello, e poi ho visto New York e il mare tropicale delle Seychelles. Mi andava così. Chissà perché ci avevo in testa le Seychelles. L’amore per la montagna non è mai cambiato, è che a volte c’è quest’obbedienza ottusa alle cartoline. Quelle che vedi, che ti raccontano, t’impongono in buona fede. E poi le tue:

lo sai, quante ne hai, anche tu? Non sul frigo, non i souvenir: io dico quelle che ti dettano i passi. Come tornare in città dopo le ferie.

Cartoline. Semplici immagini su supporto di carta.

Per questo torno adesso, qui su questo mezzanino: perché mi sono accorta di quante cazzate ci diciamo. Perché finché sei in gita, e cavalchi il tempo come un unicorno, e c’hai davanti tre settimane, che poi diventano due, e poi diventano una ma comunque hai un fottutissimo lungo tempo per dimenticare le consuetudini, ti fa bello fare foto e metterle su Instagram: vedi che bella che sono, vedi come siamo felici. Vedi che posto figo.

Ma poi.

L’ultimo giorno le foto già le centellini. Traversi il bosco e lanci un grido: «Pensa, domani a quest’ora saremo a Milano, che schifo».

Che schifo.

Altre frasi tipiche sono: «Si torna alla normalità», «finisce la pacchia», «si torna al lavoro», «si torna al dovere».

Patrick, da dietro, leva la voce che stappa una bottiglia già schiusa: «Allora restiamo qua».

Allora. Restiamo. Qua.

Qual è il primo pensiero che vi viene? «Eh, già… sarebbe bello». «Eh, non si può». «Eh, magari…!»

Invece noi è da qualche sera che ci pensiamo. Ogni estate, da almeno tre, quando stiamo per rientrare a Milano, pensiamo che vorremmo vivere un anno o più in qualche cittadina di montagna, provare, cambiare aria.

Perché diamo per scontato che il benessere sia in vacanza, e che poi bisogna tornare al dovere? Ma dovere di che? Ma che «dovere» è, vivere?

Nessuno ti obbliga. Se tornare alla normalità ti fa schifo, allora vuol dire che quella non è la tua dimensione, non ha nulla di «normale» per te. Vuol dire che quella è una fottuta cartolina.

Ogni anno, torno dalle vacanze pensando che voglio vivere altrove per un po’, fare esperienze diverse. Poi arrivo a casa, il divano è lì, al solito posto. Il letto è lì, al solito muro. La cucina è lì, nella solita penombra, il frigo è all’angolo, con i suoi disegni, e le valigie rivendicano il da farsi. La vita è quella, ovvia, si mescola all’imperativo del riordinare, e in poco tempo due doveri hanno vinto. Su quella spinta che tanto poi passa. Perché tanto poi ti assuefai, ti riabitui, era solo uno sputo, mica una sorgente.

Ma anche un fuoco comincia da una scintilla. Da due pietre focaie che anziché farci una torre o dargli un calcio, le freghi insieme. Ed è un falò.

La scintilla si spegne perché cos’altro può fare, quando hai deciso che è ovvio obbedire al tuo frigorifero all’angolo, al letto al muro, al divano al solito posto?

La scintilla si spegne non perché non valesse, e noi ritorniamo uguali a sempre non perché quella sia la nostra verità, ma perché diamo per scontato che si debba rientrare nei ranghi.
Perché nessuno ci ha insegnato che le scintille hanno un senso.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 7

  1. Mamma avvocato

    In genere si torna da dove si viene,da.dove si sta nelle non ferie,perche’ li’ si ha un lavoro e/o nonni. E un lavoro altrettanto soddisfacente si pensa di non poterlo trovare in altro luogo. Ma non è mica detto. Noi non siamo rimasti in città, anche se lì avrmo fatto entrambi carriera. Certo, la contropartita del.restare o andare dove ci piace davvero è che potremmo scoprire, con il temo, che a viverci la vita quotidiana con scuola e lavoro ci piace molto meno e sentirci della scelta. Oppure trovarsi bene ma con uno o entrambi gli adulti che macinano km per andare e tornare da lavoro e allora il sacrificio un po’ annebbia la bellezza.
    Comunque non è scontato, tornare a Milano o dove non ci si trova piu’. Sono tanti che scelgono diversamente, che trovano il coraggio o la voglia di vincere l’inerzia.
    Quanto a Milano, in montagna si sentono i milanesi tesserne le lodi con tutti però poi, chissà perché, sono lì,tra i monti o in spiaggia e ci scappano ad ogni giorno di vacanza o weekend…..avranno bisogno di convincere se stessi?!?

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      Maddalena

      Molti tornano al lavoro che è del tutto insoddisfacente, invece. Perché è logica comune che il lavoro è una cosa, essere felici un’altra. Molti, nemmeno si fanno la domanda. Dividono: si fatica e si pena in una vita mediocre per undici mesi, poi c’è il grande mese del ristoro: dove pensano solo a ricaricarsi, e non sanno chiedersi se quel potere ricaricante non stia forse suggerendo che c’è qualcosa da rinnovare, appunto. Credo sia come dici, che molti si convincono per codardia: per codardia non intendo dire che chi vive a Milano sbagli, e che chi è frustrato sbagli. Per me codardia è non aver scelto. Per me uno può porsi la domanda e poi scegliere comunque con onestà la città perché ha appunto i nonni, i servizi.

  2. Lorenzo

    Ciao Maddalena,
    l’ultima frase che hai scritto é molto comune ultimamente nelle chiaccherate serali tra me e mia moglie. Ci siamo accorti che la maggior parte delle cose meglio riuscite sono state proprio scintille che non abbiamo spento. Ma quanto è difficile a volte non spegnere le scintille. I bambini hanno un sacco di scintille…..speriamo di insegnarli che hanno senso. Non so come si fa, perchè nessuno lo ha insegnato a me, ma ci proviamo.
    Un saluto
    Lorenzo

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      Maddalena

      Che meravigliose parole, Lorenzo. E che bei discorsi da fare tra coniugi: credo che genitori che parlano di scintille siano ottimi insegnanti a riguardo. Ti abbraccio.

    2. mamma avvocato

      che bello che tu e tua moglie facciate questi bei discorsi! Ioe mio marito le scintlle le chiamiamo “passioni” e cerchiamo di lasciare loro spazio, nel limite del possibile, e farle coltivare al nostro bimbo grande e ai piccoletti (compatibilmente con la loro ancroa scarsa capacità di concentrazione su cio’ che comunque li ha “accesi”). non è facile, per nulla, ma è giusto provarci!

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