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I beffardiMaternità

Le madri. Degli altri

ESTRANEE IN CASA TUA

 

C’è tutta questa corrida per il suo amichetto che viene. Credetemi (lo saprete di certo, io invece in questo sono novellina: inospitale, asociale): avere in casa un figlio altrui non è nulla, rispetto a quando… viene anche sua madre.

Intanto bisognerebbe distinguere tra madri di amici dei figli che sono a loro volta amiche tue, in quella specie di gemellaggio, sai tipo città gemellata con… Settimo Milanese gemellata con Edimburgo. Che tu dici cazzo c’entra, e però intanto suona bene, c’è Settimo che si fa tutto un pavone, che in un momento gli par di diventare Primo.

E madri di amici dei tuoi figli del tipo chi cazzo è. Ciao a bocca chiusa, il nome in rubrica appare solo nel dantesco gruppo w.a. come «mamma di», e un sorriso rimbalza solo perché quei figli reciproci si scoppiettano tra loro segreti come popcorn.

Le mamme, in effetti, si distinguono sempre in due categorie. «Mamma di», e «nome di battesimo».

Per arrivare a questa seconda identità devi sudare, aver intessuto ripetuti discorsi ai parchi, aver confessato che hai tradito tuo marito, e asciugato almeno una volta il moccio del figlio altrui. Se poi hai regalato più di un pomeriggio una merenda col santo gesto di fingere che t’avanzasse, allora l’amicizia è sigillata. Tra donne il legame è sempre unico: nel senso che risponde all’unico bisogno de «l’unione fa la forza». Le donne si coalizzano per spiccare il volo professionale o per schierarsi contro l’altra metà del pianeta.

Allora non è che puoi filtrare, e siccome la piccola festeggia gli anni e un amichetto non l’ha invitato mai, ti dici che vuoi che sia. Sul messaggio hai specificato «non c’è bisogno che rimanga il genitore» e per la legge del silenzio assenso t’eri già figurata orde di giochi e caos mentre tu, servita la torta e fatte due foto a testimonianza della tua impeccabilità, ti releghi nell’angolo della cucina e scegli tra: smanettare processioni di social, leggere una rivista, o perfino un romanzo. Forte del fatto che, oltre ai due piccoli, la tua figlia grande (9 anni tutti spesi a organizzare coreografie, giocare alla tata e realizzare deliziosi manufatti artigianali di riciclo), saprà prendere la situazione in mano.

Non fosse che l’indomani «la madre» ti incrocia per il salone, gli armadietti a metà sulla fretta del mattino, e sentenzia senza cerimoniali: «Tanto vengo anch’io. Lui non vuol venire senza di me».

[Silenzio. Questa volta non assenso. Anzi direi: non-ha-senso].

«Ma certo, figurati». Richiudi l’armadietto.

E la corrida comincia.

Ti chiedi una serie di cose: prima fra tutte se quella sia una da anticipo e quante e quali operazioni sarai in grado di eseguire, se cominciare dai basic o essere ottimista: ti spingi a raccogliere un mazzetto di fiori gialli che miracolosamente la legge antica e affidabile della gramigna sa offrirti ogni primavera anche nel giardino calvo di cui non sai vantarti. Ti sbavi una riga di rimmel.

Quando il tempo è già prossimo alla campanella ti sovviene che casa tua è casa tua: un tripudio di dettagli che non noti ma che un perfetto estraneo potrebbe inorridire a vedere.

Fazzoletti sul calorifero, fazzoletti di carta a sterminio sul bancone, foglie di una vecchia stella di Natale che sfioriscono. Calze sulla panca d’ingresso: rigorosamente spaiate. Una giacca a vento sul manico della cyclette. I letti ancora sfatti. «Isabelle, cazzo, spostati, fammeli tirare su»: perché in effetti nemmeno tu ci mangeresti volentieri da una che manco tira su un lenzuolo.

Cose che non sei abituata a vedere perché ciò che vedi sempre smette di essere visto. Passi in rassegna la casa fingendoti estranea a te stessa, l’occhio vigile come aspettassi l’Ispettore di Igiene. Uno sguardo al cesso, sia mai che qualcuno l’ha rigato… per così dire. E poi il Cervino sul cesto della roba sporca. Sarebbe più facile invitare madri di figli plurimi, la prossima volta faccio venire una che ne ha almeno sei. In modo da potermi aspettare una certa benevolenza o perfino che non si accorga che questa non è casa sua. Le ciabatte: interroghi se sia possibile accogliere ospiti con le tue pantofole sanitarie. Maledici che tua figlia sia nata a febbraio, ma tenterai comunque un parco giochi. Le stanze: ti chiedi quali e come utilizzeranno. Quella matrimoniale la stabilisci off-limits. Lì dentro cacci tutte le ultime rappresaglie al rigore: dalle calze alle foglie della stella. Ti saresti fatta anche una doccia ma ormai il tempo scade.

Mentre già suonano spegni il forno, la volata dell’ultimo minuto. Arrangi una cascata di patatine in una scodella. E vai ad aprire con un sacchetto di plastica raccolto nell’ultimo giro di ronda: le candeline.

 

Ps: i maschi se la sono svignata, sono a giocare a paintball.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 5

  1. mamma avvocato

    Anche io mi faccio di queste paranoie (e dire che noi di amici e conoscenti ne invitiamo tanti, alla fine è sempre un porto di mare), sempre. Poi vado a casa degli altri e non mi accorgo di nulla, solo se mi sento accolta di buon grado e c’è da chiaccherare. Quindi, forse, è cosi’ anche per gli altri e son tutte nostre paranoie. Eppure restano. POi quando è il dunque, per fortuna parlo, anche a vanvera, e me ne dimentico, sai? Come è andata???

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      Maddalena

      E’ che questa madre era proprio una perfetta estranea. Comunque era bella sciallata, non solo aperta ma anche un po’ creativa, alternativa. Insomma pane per i miei denti. E’ andata benissimo. 🙂

  2. Lorenzo

    Mi hai fatto sorridere in questa grigia mattina in ufficio. Sorridere perché ti ho immaginato quando ti sei accorta dello stato (normale) della casa. Ed ho immaginato anche i maschi a giocare, ignari (o forse no) della tua corsa al decoro. Adesso mi odierai così come tutte le tue lettrici, ma invertendo i sessi l’unica preoccupazione sarebbe stata …. “Cazzo manca la cassa di birra”….
    Un caro saluto
    Lorenzo

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