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Maternità

Lasciar piangere

È UN PICCOLO DONO

 

Quella stradina un tempo era ancora peggio. Non c’è bimbo della materna che non vi abbia lasciato un grido in preda a una caduta, non c’è passo che non inciampi, prima o poi, in quella ghiaia che finge l’asfaltatura.

Saranno gli stivali che le ho messo stamattina, quando piccole pozze ancora sonnecchiavano aspettandoli, e Isabelle non poteva uscire senza, ché l’acqua ci sarebbe rimasta male, a restar lì così, censurata dai nostri piedi grandi e frettolosi, da scarpe che non si possono bagnare.

E così al ritorno il sole s’è succhiato le pozze, ma lei, Isabelle, ha ancora la sua figura, tutta dello stesso colore, che scivola nel rosa dal cappuccio dell’impermeabile a fragole, ai leggings che io chiamo fuseaux perché sono la stessa cosa, come un Barbapapà sottile, a quegli stivali. Che forse sono troppo lunghi. E dopo la prima curva in un attimo che non vedi si annienta al suolo.
Faccio come fanno le madri, con quella prontezza che sembra che lo sapevi già prima: in un momento svincolo le mani che bighellonavano in tasca, e la piccola è su da terra, come una statuina storta, piegata a V da un dolore che noi non possiamo capirlo. E che invece racconta ogni sussulto e ogni piccola duna del volto: che se vogliamo lo capiamo eccome.

Il ginocchio va scoperto con cautela, perché vedere è soffrire (ma in fondo siamo così anche noi adulti). Un sacco di volte i miei figli mi hanno gridato aia!, ma come mi offrivo vediamo, dai, sembrava gli avessi proposto un bagno nella benzina. Sollevo piano il pantalone: attorno alla rotula due belle rasature trasudano rosso. Di peggio che mostrare una ferita c’è solo lui: il sangue.

La prendo in braccio e cammino. Il cancello, l’uscita, il marciapiede. La strada. Voleva andare al parco.

– Ma mi fa troppo male.

Così ha due dolori, che paiono uno per gamba. E anche se insisto davanti al ragazzo delle pizze d’asporto, alle vetrine che orlano il parco, lei ha già deciso, tutta abbassata dalla rassegnazione che si è imposta.

– Ci andiamo domani, amore.

Le ho chiesto se vuole provare, ha fatto due passi con la gamba tenuta piegata da quella loro ostinazione senza pari, ma l’ho ripresa in braccio subito.

Piangeva ancora. Ho pensato a tutte le volte che ci ingoiamo i sassi di mali nascosti, come grani di sale grosso.

Ho pensato a quella sera che non potevo mica dirlo, che avevo preso un palo della luce in fronte solo perché ero impegnata a fissare un ragazzetto di là della strada, e mi faceva un male bestia. E anche quella volta che una castagna mi arrivò dritta nell’occhio, lanciata forte, come una palla da baseball, da un alunno fuori da scuola; e quel pomeriggio avevo anche il dentista, e pure il catechismo. Ma mia madre mi portò a tutti gli appuntamenti come fosse niente.

Ho pensato a tutti i pali presi addosso al cuore, peggio di quello della luce.
E ho lasciato che piangesse. In braccio a me.

Io sorridevo e baciavo. Lei bagnava a turno un po’ dei suoi capelli e un po’ i miei.

E forse un giorno saprà di poter piangere. Di potersi dare il tempo che oggi le ho dato. Perché dare tempo è dare amore.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 4

  1. Piccole Mamme Crescono

    In questi giorni sto imparando quanto faccia bene piangere e tirar fuori tutto nelle lacrime. Mi ritrovo, però, a farlo da sola. Farlo accoccolata alla propria mamma invece…è il massimo! Ed è giusto che per i bimbi sia così.

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      Maddalena Capra Lebout

      Lo posso immaginare. Come sta tuo padre? Piangere su una spalla amorevole è meglio, e necessario. Ma bisogna almeno aver concesso a sé stessi il diritto alla debolezza. E il tempo che le spetta.

  2. Lorenzo

    Quanto è liberatorio piangere. Le mie bimbe hanno fatto certi voli sia a piedi sia in bicicletta che me li ricordo tutti. Le ho sempre lasciate piangere. Io che non ho mai pianto tanto, mi sono reso conto da adulto quanto sia liberatorio piangere. Proprio oggi 2013 si è sbucciata il ginocchio in bicicletta seguendo 2010 giù per un sentiero. Ha urlato, ha pianto e poi è tornata in bici.
    Piangere è un dono da mantenere per tutta la vita.
    Un caro saluto
    Lorenzo

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      Maddalena Capra Lebout

      Ti do perfettamente ragione. Il fatidico “smettila di piangere!” mi sfugge solo quando mi esasperano comportandosi male per inezie. Ma soltanto dopo aver provato in mille modi a calmarli. Un abbraccio.

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