Maternità

L’amore comincia un mucchio di volte camminando

DOPO UN PO’ SEI TU E UN CUORE CHE S’È MESSO BUONO A RECITARE I SUOI RITORNELLI, OSSEQUIOSO COME UN CHIERICHETTO

 

Il mio menisco ulula quanto la Callas. Abbiamo fatto una discesa di quelle che prima o poi occorrono sempre in montagna. Lo sai perché mi piace tanto, la montagna? E dire che i suoi pizzi e i suoi capricci inquietano, a volte. E dire che i boschi hanno una capacità di buio anche nel sole, gli basta che scende un po’ quel grande dirigibile giallo dietro il bavero dei colli, e ti si mangia vivo. Isabelle mi dice ho paura e io faccio finta che – No, amore, il sentiero è giusto – mento sperando. E dire che a volte me lo domando: la vacanza cos’è? Amare gli affetti, ritrovarsi in posti nuovi che ci spolverano da vecchie zavorre, e poi piantarsi tutti dentro una bestemmia quando riconosci gli stessi attriti, le stesse facce malconce per una cazzo di LOL che le due donnine non sanno condividere. I fate un po’ per uno che le urticano come rovi. Quei lapidari voi non mi volete bene che arrivano tra i denti rattoppati di Patrick e sembra che non ci sia sutura possibile, lo guardi, lo scardini con gli occhi e lui sempre lì, sta: sicuro nel suo volersi fare male. Che i denti che restano glieli leveresti solo per far sentire cos’è, quando davvero non ti amano.

E poi cosa? Vedere posti, ritrovare cose. Riposare però no. Tutto sommato la vacanza per me non è questa grande amaca che ti suggella in un dondolare stanco, ché non sono mica un pendolo. Mi preferisco animata, per questo dopo la prigionia dei primi giorni saltiamo su come mine. Coi tempi storici dei Lebout, in macchina salpiamo che sono già le 13 e nessuno ha visto mai una sveglia non fosse che per ricordare l’appuntamento stronzo con un antibiotico. Però poi si va.

E quello che amo della montagna è che prima o poi sali sempre e prima o poi, sempre, scendi.

E allora ti tocca di tirarti fuori il fiato, e la mano perché un figlio te la scova sempre, la pretende quasi a sposarti. Così faccio i conteggi, adesso mi torna buono guardare l’ora, divido per tre, un pezzo per uno. Isabelle è troppo grande per le spalle del babbo, però lui le dice cammina due volte, due gliele dico io. Alla terza più tre che fa sei, spesso già alla quinta per sfinimento genitoriale, quella è già lì sopra, capace che si lamenta “ma il papà mi bagna il sedere” perché Mathias suda sul coppino. E provaci tu.

A Patrick la montagna lo mette zitto. Come un piatto di bavette al sugo. Basta che lo porti da qualche parte, lo guardo nel suo passo senza indugio, maldestro in mille cose, qui schiva pozze e salta fossi, supera torrenti, non ha un solo istante di forse. Sarah invece sta tutta in quella maglia col gatto che le ho preso al mercato una mattina. Uno di quegli acquisti che sei uscita per altro, e poi era troppo grande per lei. Solo che la signora cinese mi cantilena: – Taglia unica. – E alla fine quel micio viene con me. Lei è così: taglia unica. Con quella passa dalla vanità di una ragazzetta, scivola tutta nello scollo che è troppo ampio, le piace sentire che la spalla se ne esce fuori come luccicasse. E poi miagola perché non ha voglia di uscire, perché si stufa, perché alla fine camminare è solo camminare e

“poi là che cosa c’è, cosa facciamo?”
Si cammina, si guardano cose meravigliose. Ma a loro importa poco.

Anche se hai due baguette fresche, il pain au chocolat, i cookies. Tutte le attività che hai dedicato unicamente alla prole, dal percorso avventura ai pony alle merende, al lago, la sabbia, sentendoli a turno ma a me questo non piace! e azzeccando di tanto in tanto qualcosa che li facesse tutti felici, diventano piccoli fondovalle, malghe sparute.

E invece la fatica della montagna ha una sua filigrana, perché ripaga già nei passi croccanti sul pietrisco, nei pascoli che il verde ti insegnano davvero cos’è, nelle cime che non pretendono niente, non ti obbligano come la vita:

stanno lì e lì staranno, che tu ci vada o meno, che passi sotto, accanto, sopra. Quelle ti lasciano fare. Però sono anche signore, perché gli piace essere guardate. E mentre le guardi il tempo s’è fatto da parte, il fiato è il solo metronomo, e

dopo un po’ sei tu e un cuore che s’è messo buono a recitare i suoi ritornelli, ossequioso come un chierichetto.

Io non lo so, se questo ai miei figli arriva. Però credo gli arrivi come mi slargo io, come mi lenisco. E quando poi si torna a casa siamo tutti un po’ nuovi, magari è solo che sono contenti di avere di nuovo una panca sotto il culo. Chi lo sa. Magari è che la montagna un po’ gli soffia dentro, lascia le sue liturgie anche nei loro, piccoli corpi. Però che bella lucidata, ci siamo dati:

l’amore, per me, comincia un mucchio di volte camminando.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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