Maternità

L’abbiamo detto ai bambini

Lo diciamo ai bambini un venerdì sera. Un venerdì fiaccato dai miei disturbi, loro a casa, ancora: “La mamma deve riposare”… La mamma ha mal di testa, la mamma è stanca, non toccate la mia pancia, non saltateci su… Dopo le vacanze è come infilarsi in un buco stretto stretto, una serratura da cui vedi a fatica: loro, tu, le ore lunghissime. Nessuno. I parchi vuoti, i negozi chiusi. Non è stato facile, finché non ho deciso di fare come SOS Tata, un bel programma ora per ora, i bambini mi passavano i pennarelli, ci facevo il simbolo per ogni cosa. Poi, dopo pranzo, tutti a letto per tirare il fiato anch’io. Coi sensi di colpa piegati dalla stanchezza.
Mathias rientra quella sera, la maglia sudata dalla pedalata e la gara dei figli che sceglieranno quella pulita che lui dovrà infilarsi. Corrono in camera nostra: “Chi sceglie?”
Ci penso un po’ su. Non alla maglia. Alla notizia. È ora, mi dico. Ho bisogno di un fremito, oggi, di un aggancio di gru che mi sollevi sopra i lamenti mediocri di questi acciacchi, che mi rimbalzi in alto nei loro sorrisi che già mi figuro, come un tappeto elastico, sicuro, con le protezioni.
“Dai, diciamolo stasera!” esorto Mathias con la maglietta fresca di armadio. Pensavamo di aspettare l’ecografia della settimana seguente. Aveva senso. Avere conferma, sai com’è. Sai…
Invece io non voglio il senso, voglio il guizzo, il pesce che salta fuori dall’acqua.
Li chiamiamo a raccolta, neanche fossero a dozzine, scappano, fremono, come acqua: è lo scompiglio dato dal rientro del papà.
“Bambini, venite qui. Sttt, ascoltate un attimo.”
Tentennano: sono abituati a qualche ramanzina, quando li si richiama all’ordine.
“Dobbiamo dirvi una cosa importante.”
Vedono il nostro sguardo sereno, sentono le voci ferme ma pulite, annusano il buono. E si fermano come soldatini in ascolto: pericolo scampato. Allora prendo le loro manine, piccole che ci stanno tutte e quattro sulla mia pancia, e annuncio: “Qui dentro c’è un bambino! Un fratellino o una sorellina. Ma per davvero, sapete? Solo che adesso è ancora piccolo piccolo…”
Devo specificare che è per davvero, perché vengo da mesi di gare a chi ha la pancia più grande, più gonfia, a chi ha mangiato di più o è andato in bagno di meno.
E in quel momento, mentre lo dico, i miei figli diventano tre.

Patrick fa l’esperto, dice che tutti eravamo piccoli, anche lui, poi è diventato grande. Sarah è ammutolita. Rielabora nei suoi trentaquattro mesi.
Non sorridono, se non appena. Non saltano, non corrono. Non scappano, neanche. Restano lì, quasi impalati: aspettano.
Cerco il loro entusiasmo: “Lo volete vedere? Volete vedere com’è?”

Quella sera mostriamo loro le ecografie già fatte, le immagini sui libri, i video su Youtube. Gli racconto la storia del vermicello e dell’uovo, del bimbo che mangia dal cordone. Loro si arrampicano su queste cose nuove tra la curiosità e la confusione delle loro testoline.
Patrick chiede se può toccare il bimbo. Sarah commenta “vediamo se gli piace al bambino” per ogni cosa che mangio.
Poi sulla panca, seduti a tavola, si schiacciano su un lato. Spostano i piatti di conseguenza, guardano i miei occhi interrogativi e commentano: “Facciamo posto per il fratellino.”

Buffi, i bambini: eroi troppo grandi per il mondo dei grandi. Infili una notizia nel loro cosmo, e ne escono coriandoli fuori stagione, neve a ferragosto, colombe a Natale.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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