La sfortuna si impara da piccoli

La vita offre sempre ottime occasioni per insegnare qualcosa ai figli. Noi, lo scorso fine settimana, gli abbiamo insegnato la sfortuna.

Tutto nasce da quello slargo davanti alla posta, in Via Gozzoli. Ci passo per caso, la piccola addosso, i suoi fratelli a scuola, venerdì. Strane creature hanno preso vita: strutture plastificate e rigonfie meglio note sotto il nome di “gonfiabili”. Le osservo figurandomi già l’eccitazione dei figli e intuisco, da subito, che quelle grandi masse variopinte sono destinate a diventare la nota di colore del nostro weekend.
Mi porto avanti con le pulizie di casa, il dovere finesettimanale che ancora non siamo riusciti a risolvere: metto da parte il tempo che ci servirà per spesa, gonfiabili e affari miei. All’uscita dalla materna tentenno: vorrei un anticipo, un piccolo premio per le mie fatiche, in quel riso felice che sgorgherà al pronunciare le parole magiche, ma combatto con l’incerta nozione del tempo che hanno i piccoli, soprattutto Sarah. Guardo i loro visini da quasi weekend, l’asciugamano che abbiamo ritirato dai bagni perché “domani non si va a scuola. E neanche dopodomani.” E cedo: “Bimbi, ho una sorpresa! Però non possiamo andare subito. Si va quando c’è il papà, ok?” Metto le mani avanti e do il grande annuncio. È strano come a volte sia meravigliosamente semplice.

Sabato c’è una grande aspettativa, riempie gli occhi fin da colazione, le scodelle dei bambini: è il bello e il brutto delle promesse, si crea la scintilla, si rischia l’incendio. In ogni caso, anche non fosse per fibrillazione, c’è da affrettarsi prima che le nubi minaccino il fallimento dell’impresa (e della nostra affidabilità come genitori).
Mi fisso un indispensabile parrucchiere per mezzogiorno, infilo la strillante nel solito marsupio, inizio a uscire mentre Mathias prepara gli altri. E in una dozzina di minuti sono dinanzi al primo colpo di scena: si vede già da lì, dall’angolo grigio, al semaforo, prima ancora di attraversare la strada… macchine che vanno, che vengono, gente fuori dal bar, odore di fumo, di mattina, di ozio. E una distesa uniforme di plastiche sgonfie al di là dell’incrocio: gli “sgonfiati”. Quelli devono aver studiato su meteo.it, hanno già chiuso prima ancora di aprire, in vista del maltempo!
E ora chi glielo dice ai bambini? Di tre solo Isabelle saprà incassare il colpo.
Faccio una breve chiamata accenna-sfiga al marito, torno indietro, li raggiungo.

Seguono: dieci domande di Patrick (tutte uguali: “Ma perché sono chiusi?!”), con tono di lamento che lo ringiovanisce di almeno tre anni. Sarah sulle spalle del babbo alla ricerca della possibile consolazione. Innumerevoli congetture su cosa-come-quando fare il possibile per rimediare. E un grido all’unisono in cui, beffa al galateo, istigo i miei figli a sfogare la rabbia cocente: “Avete ragione, sono molto delusa e arrabbiata anche io. Ora facciamo un bell’urlo per il nervoso.”
Piano B: spesa con un acquisto-jolly a testa (“Bambini, per consolazione avete diritto a scegliere una cosa, ma una sola, per uno. Quella che volete”). Parrucchiere posticipato di un’ora. Due o tre ripassaggi davanti al luogo incriminato per verificare se siano eventualmente aperti: “No, sono ancora sciolti” osserva Sarah.
Quando finalmente, dopo innumerevoli semi-poppate (alcune indispensabili, ivi compresa quella elargita nel parcheggio del super mentre gli altri pagano in cassa; altre opzionali e cautelative, in modo da evitare scoppi d’appetito neonatale in mia assenza) mi abbandono alle mani leggere e alle chiacchiere pesanti delle parrucchiere, ecco che un’altra occasione s’affaccia: “Gonfiabili? Giochi? Ma perché non vai in Via Gulli? Hai presente…?” mi illustrano le due donne mentre le cerco a stento nello specchio, privata dei miei preziosi occhiali. Quello che si dice “la fortuna nella sfortuna”: pare che ci sia un super-posto fichissimo poco lontano da qui.
Ricarichiamo la promessa, al pomeriggio Sarah sonnecchia sul sofà, Isabelle si è dimenticata di svegliarsi per lo spuntino pomeridiano. Io non vengo, è troppo un casino, devo darle il latte, dorme ancora… però mi spiace non vederli giocare lì, in fondo è una cosa speciale… forse vengo… dai vengo. La prendo, l’allatto là, così non perdiamo tempo adesso.
Son già le sei, piove. Guido io (che se no non guido mai), la piccola si è svegliata, ha capito che le è mancato un pasto. Strilla. Un quarto d’ora di urla incessanti: una difficile sfida per chi è al volante.
Parcheggio, scendo, la prendo così com’è, in braccio, mi avvio per prima. Mathias, al solito, scarica gli altri due.
Numero 12, numero 12… qualcuno mi guarda, una donna e un neonato sotto la pioggia, senza l’ombrello: mi sento Maria in fuga con Gesù bambino. E tutto quadra, fino in fondo: arrivata a destinazione, trovo chiuso. Irrimediabilmente, inesorabilmente chiuso: sono otto ore che rincorriamo invano la promessa dei gonfiabili.
Resto lì sotto, la rientranza mi salva dall’acqua. Ma chi mi salverà dai figli?

“Domani, d’accordo? No, questi son chiusi proprio, sono falliti, andiamo in un altro posto. Uno lo troviamo, promesso.”
La “promessa”: la peggiore minaccia alla vita serena in famiglia.
Questo ennesimo buco nell’acqua mi costa un ululato perseverante di Patrick (ormai ingestibile a sto punto) e una caccia al tesoro a casa. Il dvd dei Sette nani per la milionesima volta, e il solito gioco al pc. Sospetto necessità menù a prova di bambino e possibilmente accattivante con dessert a razione illimitata.
E finalmente arriva domenica mattina: Buccinasco, Corsico, ci sono vari posti con strutture al chiuso. Peccato che di domenica serva la prenotazione.

La sfortuna si impara da piccoli…

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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