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I beffardiMaternità

La sfiga è la madre delle alternative

ESISTONO SOLO 3 GIORNI ALL’ANNO (E SOLO A MILANO) CHE SIANO FESTIVI E PREFESTIVI INSIEME: NATALE, PASQUA. E OGGI.

 

dsc01635_pe_wprnChe già per prepararsi, in inverno, è un po’ come partire. Ingiaccaventare i figli, aspettare che infilino le calze, la sciarpa il berretto i guanti le scarpe. Tre diventano al quadrato: che fa 9 figli.

Sarah si è fatta pure la doccia, voleva essere bellissima, il vestitino, i collant. Siede in mezzo tra gli altri due, eccitata per una cosa che da tempo le abbiamo promesso e che, quello stesso tempo, ci ha inopportunamente costretti a rimandare un imprecisato numero di volte. Il parabrezza è una raccolta di fiati, io vibro sul posto in preda a convulsioni di gelo, Mathias, al volante, inserisce la chiave.

Ed è lì, che capisci. Che: anche-questa-volta… non se ne farà niente.

Un piccolo tentativo sonoro, uno sbuffetto, un soffio, i greci lo chiamano psiché, l’ultimo soffio vitale. Be’, è quello che tira la vettura, è l’augurio della sfiga: buone feste.

E siamo lì: cinque pirla allineati a fare vapore in una macchina morta. Perché non viene subito, da alzarsi: si sta lì, ad aspettare che sta volta la chiave accende la magia. La luminaria. Sarah resiste: aspetto il botto della delusione, invece prima le scappa un sorriso, perché un imprevisto, nella sua testa fantastica, è comunque una sorpresa, una novità. Poi, quando la più saggia del plotone (io) si risolve a uscire di scena, mentre l’auto(im)mobile snocciola gli altri reduci uno ad uno, lei manca all’appello: è rimasta dentro, impietrita.

E allora che le dici? Hai ragione. Le asciughi il rigolo di lacrime prima che diventi frozen, e, per un istinto materno di genialità, parti al contrattacco, ripescando una promessa che le dovevo già dal compleanno (due mesi fa): andiamo a mettere lo smalto dai cinesi, che dici?

Mi scuso se beccherete qualche errore di digitazione, ma il triplo strato di vernice di cui hanno rivestito le mie unghie somiglia più alla Viennetta che a una manicure.

Dunque è andata all’incirca così.

Sarah sorride timidamente, i due maschi decidono di andare in cerca di un meccanico (che, tanto, alle 12 di un giorno festivo e prefestivo insieme, è un attimo), e tu Isa cosa fai?

– Io vieno.

E vieni. Tuo padre, comunque, dice che sei bravissima, di solito ti porta a guardare quando, a parità di cinesi, si fa tagliare in quel modo che gli lasciano due ciuffetti dietro e due basette alate giusto per un tocco kitsch (che io poi elimino già sulla porta).

C’è da aspettare?

Il negozio è semivuoto, io lancio la mia domanda dopo tre doverosi minuti di autosbrinamento approfittando di quel climatizzatore che la pianta sullo scaffale sbanda ubriaca nel suo piccolo vaso. Fare domande in un negozio cinese, d’altronde, è sempre una temeraria scommessa: chissà se capiscono.

Un quarto d’ora. E sia.

La nostra donna è il formato cinese dell’Orso Yoghi. Sarah cominci tu? Nella versione originaria della promessa lei e io sedevamo, parallele, in mano a dolcissime donne orientali che non mancavano di cullarci, vezzeggiarci e sorridere. Nel Grande Fratello della manicure in Via Masaniello Sarah si sottopone a Yoghi con uno slancio dentistico, io la rassicuro che non scappo, mentre Isabelle afferma ripetutamente no, non mi (s)tufo. E Yoghi, ça va sans dire, esegue smaltatura di dieci minuscole unghie senza proferire parola che non sia: “Femma!”, e resiste impavida a ogni possibilità di garbo o sorriso. Il che fa alquanto strano, considerando la fama del riso in Cina.

Quando chiude la seduta invitando mia figlia a sedersi sul divano: “Alzi!”, e strattonandola un pochino per il braccio, Isabelle ha ormai deciso con convinzione di non sottoporsi a eguale calvario. Nonostante avesse già scelto lo smalto “come Sarah”.

Quanto a me, mentre Sarah è prigioniera della macchinetta asciuga-unghie, io passo il tempo a osservare perplessa i ferri della gentildonna, in preda al più cruento dei dubbi: li disinfettano mai, questi arnesi?

E chiedendomi se quei segmenti scuri sul braccio di “lei” siano peli di cui è proprietaria, magari in balìa di una menopausa violenta e precoce, oppure frammenti caduti dalle teste del salone attiguo, e di cui è portatrice sana.

Del resto le ciabatte vantano insoliti baffetti, e ai piedi muschiati si accompagnano cespugli vari di pelurie indefinite qua e là sul pavimento.

Quando, dopo interminabili minuti e strati di smaltatura, mi avvedo che qualche spostamento ha apparentemente diradato i peli di Yoghi, concludo che trattasi di frammenti tricologici altrui.

E, non so perché, ma non sono certa che sia un sollievo.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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