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Maternità

La necessità della paura

È DAVVERO INEVITABILE AVERE PAURA A SCUOLA?

 

Ho preso quest’abitudine di guardare i quaderni dei figli, quello che fanno a scuola. Molti genitori rivendicano la necessità dei compiti come occasione per prendere parte alle attività scolastiche, io invece li scanso, non tanto perché si responsabilizzino gestendosi da sé, quanto perché sono dichiaratamente contraria a quelli che i francesi chiamano – sintomaticamente – “devoir”.

Ma è una colpa, mia, quella di tenermi sempre un po’ fuori, e poi emergere solo per sputare qualche colpo dalla mia cerbottana. È necessario partecipare. Si può e si deve fare, anche senza passare dai compiti.

I ragazzini si schermiscono, gli chiedi cos’hai fatto a scuola, se sei per strada ti schivano mentre calciano un sassetto, se sono alla tv nemmeno rispondono, blaterano non ho voglia, sto guardando il cartone.

Allora i quadernoni vestiti con le loro copertine colorate sono la sola occasione. Ho cominciato con quello di italiano, l’italiano è una buona misura: di quanto margine lasciano alla fantasia. Di quanto prendono e poi mollano, oltre quelle asettiche schede con cui vorrebbero insegnare agli allievi a restare composti.

La composta di bambini, fabbricano. In barattoli. Che poi chiudono col tappo.

Però ieri c’era Imagine di John Lennon, una fotocopia col testo tradotto. Accanto, sull’altra pagina, un estratto del Piccolo Principe.

Mi stendo in un sorriso compiaciuto.
– Che bello, mi piace che avete fatto queste cose! E tu gliel’hai detto, che Il Piccolo Principe l’abbiamo letto insieme?
– No.

Patrick è infastidito. Lo leggevamo, un capitolo per sera, due estati fa. Leggere un libro intero è stimolante, traccia un percorso che con le fiabe o i racconti per bambini non hai.

– Perché non gliel’hai detto?
– Perché no.

Non gli è venuto nemmeno in mente, forse non gli è venuto in cuore, di farlo. Non voleva intromettersi nella lezione, alzare la mano, inserirsi. Non era importante. Alla maestra non sarebbe piaciuto, si sarebbe irritata.

– Questo è impossibile! Una maestra che ami il suo lavoro può essere solo contenta se un alunno partecipa, se porta un po’ di sé nella lezione.

Provo a spiegarglielo. Inseguo il mio sentire, il mio idealismo. Non mi sembra così astratto, eppure Patrick si agita sulla sedia, e io dovrei smettere, chi se ne frega. E invece provo.

– Come tu porti a casa i quaderni, così puoi portare in classe un po’ di quello che sei. Quando vai a scuola non sei solo un bambino. Porti i tuoi capelli biondi, porti gli occhiali. Porti il cuore che hai dentro, la tua vita, la tua esperienza.

Se vogliamo che scuola e vita si contaminino è necessario uno scambio, bisogna capirlo, che sono due parti osmotiche. E non voglio lamentarmi che la scuola è così chiusa, se poi noi stessi non ci portiamo niente, nemmeno quando abbiamo l’occasione, quando il contagio è chiaro, evidente, spontaneo.

Ma lui scuote le mani, non ce la fa, nemmeno gli occhi si alzano, a nulla vale che io sia morbida nei toni, persuasiva.

Vince la paura. Di esserci, di intaccare un ordine prestabilito o anche solo percepito. Il bisogno di proteggersi.

– Avevo paura che mi sgridava.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 4

  1. Elisabetta

    Capisco il tuo punto di vista, che condivido, ma capisco anche quello di tuo figlio perché da piccola (e forse anche un po’ anche adesso)ero così. Non è solo una forma di paura della maestra, secondo me è anche carattere. È sinergia con l’altra persona… se con una persona non hai confidenza/empatia, a cosa serve raccontagli che il libro lo hai letto a casa? Cosa ti potrà rispondere? Andrà avanti nella sua lezione perché è quello che le preme maggiormente: versare nel barattolo, come dici tu… poi, quello che effettivamente entra oppure esce è da vedere.

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      Maddalena Capra Lebout

      Non posso saperlo, se è una forma di soggezione dovuta a timidezza, o se la maestra ha modi “decisi” che lo bloccano. Però ritengo che il clima scolastico incida, anche fosse questione di carattere: io là non ci sono, le maestre riportavano che chiacchiera molto, è sveglissimo, e partecipe. Dunque? Dunque qualsiasi sia il carattere del bambino là è l’insegnante che può incoraggiare, io da casa posso solo fare la mia parte. Ciao cara. :*

  2. Lorenzo

    Se penso a come ero io da piccolo ti direi che la paura è quella di essere giudicati. Se penso all’esperienza con le mie bimbe posso confermarti che il giudizio degli altri fa paura e frena. Anche le mie bimbe, quando a scuola fanno qualcosa che conoscono già, o vanno a visitare un museo che hanno già visto non dicono niente. Una volta mia figlia mi ha detto “é una cosa nostra, gli altri non devono saperlo”.
    Un saluto
    Lorenzo

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