Bisogna andarci cauti, con le emozioni. Dicono che tutto si può, ci riprogrammano come i computer. Togli la scheda madre, sovrascrivi. Ascolto e leggo parole come «cablare». Mi fanno paura.
Qualcuno dirà:
«Non è forse più pauroso soffrire, soccombere alle proprie emozioni?»
Io stessa mi sono vista a giorni che il viso era un davanzale appeso al vuoto. Non stavano più su i gerani, non ero dentro, nel focolare dei bambini, non ero nelle mie cose, nella mia casa. Né ero fuori, allora. Fai sto salto, Madda! Quante volte me lo sono detta.
Ma se c’è qualcosa che posso scrivervi stasera, che schiaccia dentro come una cinta al cuore, è che io sto provando: strade che insegnano a vivere meglio. Imparare, studiare. Evolvere. «Evolvere» è una parola che va molto di moda. Tanto se ti viene il broncio perché ti manca quello che avevi, è facile: basta chiamarla «resistenza al cambiamento».
Io guardo le mie figlie in piscina, ci ho messo un’ora a pulirla, e poi annaffiarla. Se vi allego le foto ci faccio la mia porca figura, ché tanto vedete quelle, ma il fango intorno mica lo sapete. L’ombrellone aperto dondola appena sotto questo movimento d’aria che pare un asciugacapelli. Io guardo le mie bambine e anche se fanno chiasso sono zitte. Non so se mi spiego: io di solito c’avevo l’eco, al cuore. L’eco viene nelle stanze vuote, sai come quando traslochi, infili l’ultimo naso e sembra che il locale ti azzanni. Ci piangi dentro un po’, poi ti porti via. Bene, può darsi, allora forse è così: che
io c’ho il cuore fottutamente oversize, e allora uno squillo è una sirena, un schiocco un boato. Una delusione una ferita. Ma, per Dio, sai quanto chiasso ci hanno fatto per anni i miei figli? E ogni piccola enorme conquista o beccata, ogni uccello su quei gerani?
Se c’è una cosa che puoi fare è districare. Ci sono gradini che hai la gamba ingessata e non sai alzarla: ma non è il gradino, che è alto. È che lo fai con la tua gamba bambina, quella che hai imparato, che usi per stare in quelle situazioni, la tua zoppia di essere quello che sei riuscito a inventare. E allora va bene, va bene questa grande filtratura,
siamo quello che siamo quando abbiamo tolto i nostri sovrasistemi. Siamo la verità di una piscina che intorno ha il fango.
Ma bisogna andarci piano, con le emozioni. Trattarle con cura. Soccombere alle emozioni fa paura, ma a me fa più paura ancora chi insegna a controllarle. Le emozioni non si controllano: si incontrano, si fa loro spazio, si cavalcano, e si esprimono nel modo migliore. Se non lo sai fare, puoi aspettare che passino. Non durerà molto, tanto quelle ti tornano addosso come il vento. Che si fa un giro, e poi viene a chiamarti.
Ma oggi si insegna a «riprogrammare». La polizza contro l’infortunio di un cuore animale che vuole ancora gridare.
Possiamo recuperare l’amore che ci è mancato. Possiamo eliminare le credenze limitanti. Possiamo avere tutto. E io sono d’accordo, maledettamente d’accordo: c’è sempre un riscatto, si lavora sodo su di sé, si impara
il proprio valore immenso, la propria piccola, grande eternità.
Solo spiegatemi quale ricchezza preveda di ridurre le emozioni a qualcosa che si può, semplicemente, controllare e riscrivere.
[Photo by Annie Spratt on Unsplash]
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