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Maternità

La dura vita dei bambini

AI BAMBINI, I GRANDI LI METTONO SEMPRE DA QUALCHE PARTE

 

Caro genitore, e soprattutto cara mamma (i papà di solito sono più buoni ma non ho capito perché),

la vita dei bambini non è così facile come sembra.

Prima stiamo chiusi in un sacchetto pieno d’acqua. Sentiamo tutto, ma lontano. E non vediamo nulla. Forse è lì, che cominciamo a sviluppare una grande fantasia: quella che poi ci invidierete, e che allo stesso tempo cercherete di limare e contenere coi vostri astrusi ragionamenti.

Quando finalmente cominciamo a saper usare il nostro corpo e capire come funziona là dentro, è tempo di uscire. Non lo decidiamo noi: lo decide qualcuno, la natura, le ostetriche. Da lì in poi, e per lunghissimi anni, non si sa come ma saremo sempre portati fuori per decisione di qualcun altro.

Allora arriva quella tormenta di luce, mi sbattono sotto acqua e teli, mi adagiano a svernare sul seno della mamma e per un attimo sembra che tutto quadri. A voi, genitori, sembra sempre che tutto debba quadrare: «Ma perché piange, se l’ho appena allattato?», «Ma cos’avrà ancora da agitarsi?»

Siamo energie vitali senza parole, impazienti di imparare, e costretti da un piccolo corpo che spesso ci è sconosciuto.

Prima vi lamentate che siamo sempre in braccio, poi vi dispiace che muoviamo i primi passi. Allora comincia il corteo delle raccomandazioni: non andare lì, lascia stare quello, non correre, non piangere, non fare così. Tutto è troppo grande o troppo in alto, se chiediamo vi stancate, se facciamo da soli dite non toccare.

Siete fortunati che abbiamo una grande tenacia: non ci fermiamo per un semplice no.

Ma tu immagina cosa voglia dire: tu immagina di essere appena arrivato su un nuovo pianeta, divorato dalla curiosità, e come muovi un braccio, lo afferrano, come dici una cosa, la correggono, come fai un gesto, ti fermano.

La cosa peggiore è la museruola ai sentimenti: quelli non li puoi mica comandare. Se ho paura, ho paura. Se sono arrabbiato, sono arrabbiato. Se mi vergogno, mi vergogno. Invece tu, vorresti impartirmi anche quelli.

Quando comincio a essere un po’ meno tetta-dipendente mi immergi in uno sciame di estranei. Bambini mai visti che mi ruberanno giochi, in un posto mai visto. Ma soprattutto: senza di voi.

E non è tutto: per anni e anni sarò buttato a pesce in qualche scuola, campo estivo o corso. A nessun adulto la vita cambia di continuo così in fretta, nessun adulto entra così spesso in nuovi gruppi, realtà e sfide. Ma siccome siamo bambini, curiosi, adattabili, non autosufficienti, è ovvio metterci da qualche parte. Alla fine, il più delle volte, sono belle esperienze: ma ricorda la fatica di cominciare.

Ai bambini, i grandi li mettono sempre da qualche parte.

Dobbiamo imparare una serie infinita di regole e nozioni. Dite che servono per vivere meglio. Ma, il più delle volte, non dite niente. Dobbiamo obbedire, se non lo facciamo ci costa di vedervi furiosi, una sgridata, o perfino un castigo. Ci costa paura.

Di tutte queste, però, la peggiore è vedervi delusi. Infelici. Perché se mi amate ma io disobbedisco, o se non cresco come vi aspettavate – al punto da rendervi infelici – allora sono un buono a nulla. Allora è vero che sbaglio troppo. Allora è vero, che non sono capace.

Quando abbiamo trovato una nostra forma instabile di armonia, decidete che sono grande e in qualche modo avete nostalgia di quei capelli arruffati, delle labbra arricciate e i pianti sottili che suonano come i fili d’erba: è lì, che decidete di piazzare un altro figlio. Con la scusa di regalarmi un fratellino, strappate in due il mio mondo. E sarà dura, poi, trovare uno scotch bello forte.

La sfida delle pappe, la storia di togliere il pannolino, sedersi su quella finta seggiola e cagare a comando. La scuola, i progressi, le tappe di sviluppo. Sembra non ci sia mai una pausa.

Poi c’è la tragedia dentale. Questa qualcuno me la deve proprio spiegare: allora, prima mettiamo i denti uno a uno, con dolori trafittivi e lancinanti. Poi, uno a uno, dobbiamo toglierli. Ma ti pare?

Va bene la storia del topino che porta la moneta, ma passerò anni in questa fase infernale: mangiare a fatica da una parte sola, sentire il dente che dondola, la paura di ingoiarlo, e il terrore di dovermelo far levare da papà (l’unico caso in cui papà è nettamente più bastardo della mamma).

Io tutte queste cose non è mica che le vivo leggero perché sono un bambino.

Voi credete che sono di gomma, che rimbalzo sempre. Che la vostra vita è ben più dura perché avete quella cosa che noi non abbiamo. Com’è già che si chiama? «Responsabilità».
I bambini pensate vivano felici perché non ne hanno.
E invece l’abbiamo anche noi: noi ci sentiamo, ogni minuto, responsabili di renderci amabili, di farvi felici.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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