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Altre Verità

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LA DELUSIONE È LA NOSTALGIA DI QUALCOSA CHE NON HAI AVUTO, DI QUELLO CHE POTEVA ESSERE

 

Guardo le luci. Tutti quei piccoli occhi appesi alla volta dei tunnel. Mi piace la vista d’insieme. Se te li mangi in una boccata sola, quelli, le luci laterali, la linea tratteggiata della mezzadria, ti sembra quasi una giostra, la macchina curva in galleria e tutto sfila come al luna park. Poi guardo quei moccoli di finestre, le case che corrono fuori dal vetro, villaggi che iniziano ad accendersi nel crepuscolo. Mi tengo occupata.

È una buona ora, per viaggiare. Non era previsto viaggiare di sera.

Al mattino abbiamo fatto tutto per bene, alle dieci e quaranta tutti in macchina, a mezzogiorno e trentaquattro eravamo a Courmayeur. Il tempo fa schifo, lo sapevamo. È solo un po’ peggio del previsto, le previsioni, anche, le hanno corrette, non so nemmeno se riusciremo a uscire di casa. Ma i bambini scendono dalla vettura come fossero liquidi. Su, alla conquista dei gradini di pietra. Patrick ha aspettato questo momento da settimane.

– Vuoi andarci anche se pioverà?
– Sì, perché la casa è di legno.

Gliel’ho insegnata io, questa passione.

Poi s’infila sulla panca, apre cartine, è già al lavoro. Le due femmine hanno trovato le teiere, offrono tè e caffè a chiunque, cullano l’aquila di legno rubata al bow window.

Ho già sistemato ogni cosa, dalle mutande agli spazzolini.

È strano come nascono certe scelte, come maturano decisioni veloci. Come in un attimo sei in quella casa di legno e poco dopo hai già riempito la vettura di nuovo, e rifai tutto, tutto al contrario. Svuoti gli armadi che hai appena riempito, riempi il baule che hai vuotato otto ore prima. Percorri la strada, la stessa, a ritroso. E anche le bocche di tutti, si sono capovolte.

A tre ore dal nostro arrivo, già assistevamo alla prima imprevista sciagura: il bagno del seminterrato era allagato per una perdita. Chiudiamo il rubinetto dell’acqua calda di sotto, viene la donna, asciuga. Io vado a letto con Isabelle, non vuole dormire in camera da sola. Tanto ho dormito male, stanotte, avevo la gola come un frullatore acceso. Gli altri escono, rimediano due riviste per giochi in casa, una brioche.

Il momento più brutto è quando non hai deciso.
Patrick ritorna, si butta sul divano, si rannicchia con le sue gambe da fenicottero, il fiato corto. I suoi occhi si sono vuotati, la sua fronte scotta. Come scottava stanotte, l’avevo detto. Ma ho preferito l’ottimismo. Smettila con quei conteggi, Madda, molla il controllo. Prenditi un po’ la vita come viene. Io sono a pezzi, Isabelle ha cambiato faccia, abbandona i tè, le tazze, si porta la mano all’orecchio. E i prossimi giorni, sempre, pioverà.

Perché decidere di venir via è tradire. Patrick, lo spazio immenso che si era fatto dentro, per questa vacanza in montagna, i nomi, i giri, le idee, l’attesa. Sarah, che sta bene, che pagherà per ragioni non sue. Noi, io, che volevo godermi i bambini, la famiglia, e invece siamo pezzi sparsi, dietro ai malanni, ai conteggi.

Mathias torna dal supermercato, ha comprato un prosciutto, del pane. Per il viaggio, dice. Ci ha pensato anche lui. Inutile disfare i letti, aspettare domani.

Il momento più brutto è quando hai deciso. Patrick piange, io piango, ci abbracciamo. Neanche un giorno, ma neanche un giorno! m’implora. Va bene così, che veda la mia delusione. Questa bandiera issata, attesa, e poi spenta senza vento. Sarah siede in macchina col broncio, la sua preoccupazione è cosa dire a scuola: “Alle mie amiche avevo detto che andavamo in montagna.” La Isa è l’unica che non sa nulla. Un attimo giocava sulle scale, siamo venuti a scoprire un mondo, e adesso via, indietro, basta.

So che mi farà un male cane, come la gola. Mi sveglierò stanotte e mi ricorderò che non siamo là. Che siamo tornati. Che l’ottimismo è un fanciullo ingenuo. Ora mi basta dove siamo. I bambini che dormono ognuno con gli occhi ribaltati in aria, la bocca aperta. I fari dei tunnel, i paesi che ormai ciondolano nel buio.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 2

  1. Luisa

    Quanto mi hai ricordato quei momenti di delusione quando, con i bimbi piccoli, i programmi saltano e i desideri non si realizzano. I bimbi che non capiscono e gli leggi la delusione negli occhi, ma questa frustrazione non gliela puoi proprio risparmiare, come quando si ammalano il giorno di un compleanno o durante il Carnevale. L’anno scorso un bellissimo vestito da soldato di Guerre Stellari mai indossato e riposto nell’armadio per la febbre, io a guardare quei lacrimoni e sentirmi in colpa come se fossi stata io a farlo ammalare!

    1. Post
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      Maddalena Capra Lebout

      Esatto, ci sentiamo in colpa perché comunque siamo noi a decidere che loro ‘non possono’ per motivi di salute. Patrick era disperato, singhiozzava anche se febbricitante. Io sono ancora delusa, anche perché non sono ancora guarita, quindi non esco nemmeno adesso che siamo tornati!

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