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Intermezzi

Imparare la soglia

All’università di 30 esami la gran parte con l’architettura non c’entrava niente. In non so quale materia del piano di studi un libro s’intitolava: “Abitare la soglia.”

È il titolo, che mi resta.

La soglia. Imparare.

Sono una che quando si mette in una cosa ci entra dentro tutta intera. Puoi chiamarla determinazione, concentrazione. Però se mi cerchi fuori di lì non mi trovi.

Se lavoro a un grande progetto di scrittura i figli diventano margini. Sfocate le loro follie, dimessi i volumi, confusi gli ingombri grossolani e squisiti dei loro gesti. Se vortico nel loro girotondo allora è la grande scrittura a restare sul fondo.

Devo imparare la soglia.

Entrare nei miei lavori e poi uscire, fluire. Dentro e fuori. Con piccoli spazi di adattamento, come la pupilla che si restringe passando dal buio alla luce. Avere quell’adattabilità, addestrarla.

Disobbedire a quell’altra frase che mi rimane dagli anni: Seneca, “Chi è dappertutto non è in nessun luogo.”

Sarah non dormiva, mi ha detto ho paura, le prendo quella confessione, provo ad ammorbidirla. Forse è anche lei come me, tornare a scuola dopo una pausa le dà vertigine. Ho scelto di occuparmi di lei, sono impegnata in chiamate e mail, in attese. Da lì agli altri figli, dai figli al marito, ai tempi densi delle mattine che però poi arrivo di schianto sul pomeriggio dei bambini. Vacanze da organizzare, il pensiero fisso su un progetto narrativo.

Sono piccoli, i tempi che spendiamo a entrare in un posto, ad uscirne: basta un giro di chiave, abbassare la maniglia. Basta un passo sullo zerbino. Il grosso lo trascorriamo in qualche collocazione.

Eppure la capacità importante è stare nei mentre. In quei passaggi. Il dentro e fuori come il sangue nel cuore.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 5

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  1. Noemi Bengala

    Anch’io come te quando entro in un progetto, ci entro tutta. Ed è vero, non sempre questo è sano. Non capisco quando è il caso di stare in una cosa e quando in un’altra, soprattutto se si accavallano. Dici che ho speranza?

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      Maddalena Capra Lebout

      Io sto cercando di accettare questo mio aspetto: credo che nel mio caso sia un problema di controllo. Se sono dentro una cosa non so lasciarla per immergermi in un’altra perché temo di non ritrovare slancio e concentrazione (mentale ed emotiva) quando tornerò alla precedente. E’ proprio una rigidità mia. Ma la speranza c’è sempre! 😉

  2. Pingback: Parlate ai figli dei vostri sogni - Pensieri rotondi

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