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Maternità

Il nido

Sono arrivate due tortore, qui fuori. Di tante frasche e di tanto fogliame, hanno scelto noi. Hanno pensato che si sta bene, proprio su quel Red Robin gravido della nostra incuria che di rosso non ha mai avuto niente, tranne qualche punta, come lo sbaglio d’un pittore. Non le ho viste trafficare, per qualche giorno – è vero – c’è stato un via vai, un battibecco d’ali dalla gronda alle tegole, e poi sotto, un frusciare di rami. Poi una mattina improvvisamente c’era un nido. Solo che hanno preso su come viene, ci sono due fronzoli di plastica che scendono come frange: credo siano quei nastri sottili dei sacchi dell’immondizia. Sventolano come segnali, o forse valgono a minaccia per chi si avvicina.

Ogni giorno, da quella mattina, guardiamo. Se è uno o sono due non lo sai mai, la coda e la testa hanno una forma simile, vedi soltanto una prua, poi scovi quei piccoli occhi come perline.

E così nasceranno tortorelli, Mathias s’arrampica su una scala insufficiente, poi sbatte la mano in alto, scatta: così, a caso. E la foto ci insegna almeno quattro uova.

Isabelle mi redarguisce, mi vede al pc e comincia a sospettare che anch’io faccia la cova. Chiama lavoro ogni cosa che faccio davanti a uno schermo che mi cerca come un atto involontario, automatico a mattine lunghe, sfondate. Sto ancora prendendo le misure, forse lo fa anche lei. Forse no, per settimane mi ha domandato “domani vado all’asilo?”, poi un giorno ha smesso, così, di colpo. Come quel nido apparso improvvisamente.

Siamo di nuovo noi, insieme in pochi metri, in parole sceme e poi in azioni parallele, siamo già due.

Due anime che si scollano, che trovano un po’ di mondo anche senza che l’altra le stia addosso. Chi delle due, impara prima? Arrivano momenti che non sono più madre. La sento in giro come un trattore insistente e mi sembra un disturbo. Me lo dico, lo dico al marito la sera, sbuffo che i figli quando crescono prendono più spazio, non ti basta più sistemargli una copertina sulla Barbie, aprirgli il tappo d’un tubetto di colla.

Ti guardano, cominciano a lanciare affermazioni e tu stai lì come sotto una mitragliata di semi.

– Eh, però non è giusto, che stai sempre al pc, sempre al pc!

Una volta non l’avrebbe mai detto, Isabelle. Una volta sarebbe venuta a strusciarsi il pelo, mi avrebbe sbavato un bacio e quei suoi occhi sempre un po’ convergenti mi avrebbero vinta: per il solo fatto di sembrare senza pretese.

A Patrick hanno rifatto i denti, un innesto temporaneo, adesso il suo sorriso non è più monco, l’ultimo taglio netto però, l’ultima grande sbeccata, è stato il primo giorno al campo estivo della scuola: a metà del vialetto d’uscita ha rallentato, ha tirato un po’ su quel mento timido, ha lasciato che vedessi la sua delusione, e come l’ho toccato gli ho acceso le lacrime. Non gliene frega niente, di quei lavoretti che invece animano Sarah, nello stesso campus. Non gli interessano i balletti, lo vedi che puoi piegarlo e mettertelo in tasca, è un bambino pieghevole, Patrick, è come una locandina. E invece ha tutta una sua dignità di maschio, il pallone, la stretta di mano agli amici, le risatine che hanno già quel falsetto irritante degli adolescenti. Coi giorni va meglio, lo prendo che sfoggia i denti nuovi, viene col passo solido, a volte perfino racconta. Ieri sera giocava con Sarah, ripescano cose, fanno le prove di quei balli che snobbava, e che saranno lo spettacolo di chiusura del centro estivo. Vedi che fare qualcosa insieme li porta vicini, li mette in contatto. Sembrano una coppia infelice, non s’accordano che di rado, si evitano, si irritano come due materiali destinati a uso diverso, incompatibile. Invece salta fuori questa novità, forse dovremmo iscriverli a qualcosa insieme, mandarli agli scout.

Fra pochissimi giorni avranno finito. Saranno tutti qui. Tutti intorno a un ventilatore che azionano credendo che produca aria diversa, o in cui cantare per increspare la voce. Attorno alle mie gambe accavallate sullo sgabello. A quel nido che, ormai, avrà già lo spettacolo di piccoli becchi.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 6

  1. Mamma avvocato

    Quotidianità da trismamma che tenta anche di lavorare, eh? Sono contenta per Patrick ed i suoi denti. Come sta Sarah? Qui il ricciolino è in modalità gelosia on: dei fratelli e del lavoro.

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      Maddalena Capra Lebout

      Davvero? Geloso adesso? Ma i gemellini sono a casa anche loro? Cioè vorresti dirmi che sei a pieno regime di prole… ha dell’eroico, o del masochismo inevitabile, che dir si voglia. Sarah bene, restano sempre molte paure, piccole, insistenti, quotidiane. Però è molto felice del campo estivo. Un abbraccio!

  2. Lorenzo

    In questo articolo hai evidenziato pensieri molto comuni anche me. “i figli quando crescono prendono più spazio”, ma quanto è vero. Pensa che ogni tanto pensiamo di prendere una cosa più grande. Come se fosse lo spazio fisico che manca, ed invece è “lo spazio” che viene a mancare. Domande, riflessione, pensieri. Te li scagliano da quando si svegliano a quando vanno a dormire. I campus estivi che prima non piacciano e poi invece diventano interessanti. Le liti tra sorelle. Odiarsi ed amarsi. Indifferenza prima e cercarsi poi. Tutto sotto lo stesso tetto, tutto lo stesso giorno. Per loro tutto normale, per te invece…..
    Un saluto
    Lorenzo

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      Maddalena Capra Lebout

      Io invece mi aspettavo che ne lasciassero di più, di spazio: il che a volte in effetti è anche vero perché sono più autonomi. Ma si crea un intreccio di azioni e reazioni, di personalità che è come dici tu, tutto nello stesso giorno. Ciao Lorenzo!

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