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Maternità

I miei figli sono simpatici dopo le 20

NON IMPORTA DOVE COMINCIA LA FELICITÀ, L’IMPORTANTE È CHE COMINCI

 

La stanza che mi piace di più è quella dove dormono Isabelle e Sarah. Le abbiamo poi messe insieme, hanno ritmi sonno-veglia più coordinati, Patrick si alza prima, scende di sotto a scrivere sotto quella grande vetrata divorata dal sole (quando va bene), oppure picchiata dalla pioggia.

Abbiamo spostato i letti in diverse composizioni, non lo diresti mai che uno stanzino di tre metri per tre si presti a tante disposizioni: adesso turnano sul letto addossato a quella porticina che pare dei nani, chiusa da un lucchetto e che dà non so dove: il fatto è che lì dentro ci squilla qualcosa. La prima volta accade a mezzanotte esatta e noi (e loro) siamo ancora vergognosamente ai ciao amore dormi bene. Sembra un telefono, ripete la sua musichetta per un po’, poi tace. La sera dopo fa uguale, stesso suono stessa ora, forse è una sveglia, ma noi scherziamo “è qualcuno che chiama dalla Cina.” E, di lì in poi, ogni notte.

Isabelle ha preso l’abitudine di dormire con la mano sull’orecchio: “No, non è per il folefono – mente – è che voi fate rumore.” E io la guardo chiusa nelle sue riserve e nelle sue sicurezze bambine, quando torno a baciarla prima di coricarmi io stessa fatico a trovarle la guancia, ché la sua manina, per quanto piccola, le inonda il viso.

Ci muoviamo coi tempi-non-tempi della vacanza, sbordiamo immancabilmente da orari consueti, a volte abbiamo il dazio di qualche rifiuto di Sarah, più spesso ci arrabattiamo tra le contese di tutti:

passi l’infanzia a osservare tua madre pensando beata lei che decide, non vedo l’ora di essere io il genitore, poi quando sei madre capisci che sono i figli a decidere tutto.

Allora un po’ forzi, ché tanto, bambina, non ci torni più, un po’ scendi a compromessi. Gite brevi, rifugi, il gelato promesso. Giocare con la sabbia lungo il lago, e poi fare tappa – quasi ogni giorno – in qualche parco giochi.

L’altra sera era ancora presto per chiudere il giorno: alle diciannove con la luce ti par d’essere ingiusta verso l’estate, anche se le colline boscose si sono già ingoiate le lingue di sole e qui la valle si addormenta nella penombra già alle sei e mezzo. Mathias studia un modo per arrivare in macchina a Saint Nicolas de Véroce. Patrick e io ridiamo, qui intorno ovunque vai a piedi trovi un cartello che punta Saint Nicolas. Sali sopra, vai alla frazione dopo, vai sotto, ogni sentiero prima o poi c’ha quell’indicazione lì.

– Ma poi cos’è che c’è, di bello?
– La chiesetta.
– Ah.

La prima strada sterrata che imbocca tira da far paura, Sarah l’abbiamo decisamente obbligata e io guardo questa striscia proibitiva di rampa e penso che abbiamo toppato alla grande, che adesso lei ribatterà hai visto siamo usciti per niente. Tra l’altro non abbiamo nemmeno qualcosa da sgranocchiare, i cracker rimasti sul cruscotto da tempo immemore Isabelle li addenta con coraggio esemplare e poi osserva lapidaria fanno schifo. Torniamo indietro un pezzo e recuperiamo un’alternativa più carrozzabile. E insomma, in un modo o nell’altro scodinzoliamo per straducole incantevoli. Il sole spennella le cime di rosa, i bambini sono bravi, sfociamo a Saint Nicolas e sbarchiamo: quattro casette, la chiesa che sì, che no, è bella come belle son tutte. E per assicurarci la permanenza dei sorrisi scoviamo il fatidico parco giochi.

– Una volta facevamo il tour delle chocolaterie – dico a Mathias memore dei nostri giri francesi di un tempo. – Adesso si fa il parc-tour.

Però va bene. C’è chi dice che i genitori non devono pensare a rendere felici i figli, che quello non ci spetta, che l’importante è essere felici noi: be’, a me vedere tre scimmie appese a una liana fa felice.

Non importa dove comincia la felicità, l’importante è che cominci.

E poi tra la strada e il parcheggio sottostante (vuoto) c’è questa parete di rocce, e Sarah dimentica tutte le ritrosie, le sue emergenze e quel muso storto di quando mi azzera dicendo non sono tanto felice. Va su e giù, e me lo richiederà anche dopo i due passi che spendiamo intorno. Anche Isabelle si arrampica, io mi credevo così fica da sfoggiare i pochi rudimenti dei tempi in cui andavo in falesia con un mio ex, ma quei tre bambini salgono meglio. E io sono di nuovo felice.

Al ritorno schiamazzano nei finestrini abbassati, Isabelle si diverte a dire merda controvento, le piace che le entra l’aria in bocca. Sarah ride di quel suo riso grande e intanto piccino: da sorella maggiore, però col suo rosario di piccoli denti. Patrick fa il cretino, cosa che ormai gli riesce senza pari, e questa volta va nella direzione delle sorelle, e così alla fine ridiamo a ogni curva, ridiamo tutti.

La verità è che i miei figli sono simpatici dopo le 20.

E che ci sono cose che ti accorgi dopo, quanto erano stupide eppure fantastiche. E altre, come questa, che sono minuscole e inattese, però le scovi subito, lo capisci “mentre”: che sei in un punto bellissimo del tuo tempo.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 2

  1. una mamma zen

    Lo sai che questo ritratto mi ha inondata di pace e armonia? Lo so bene che siete lontani dalla perfezione, ma forse è proprio quello.il bello di essere famiglia. Un abbraccio e buona continuazione! PS:mi è arrivato il tuo libro, lo inizio presto promesso 😊

    1. Post
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      Maddalena Capra Lebout

      Ciao Chiara! Qui siamo agli sgoccioli, mi sforzo per non contare i pochissimi giorni che restano… Grazie, in effetti ci sono molti momenti di piccole difficoltà ma nell’insieme (e anche nel particolare) è una vacanza meravigliosa. Buona lettura e un abbraccio! :*

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