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Maternità

I bambini cercano di non dare disturbo

CREDIAMO CHE STIANO BENE: MA SONO SOLO ZITTI

 

Smalti. Facciamo che tiriamo fuori un po’ di colore. Da questa pioggia di marzo, un marzo che scema senza grandi stupori, senza gli applausi dei fiori.

Sarah ha preparato un separatore per le dita, mi invento scuse per diluire i tempi. Ha preso una vecchia spugna, taglia, scrive Manicure, il puzzo di un pennarello indelebile riempie la cucina.

A chi dare la priorità? Facciamo Isabelle, perché è piccina. La sorella si arrabbierà, ci sono ingiustizie che riteniamo non più tali solo perché divenute la norma. Tu credi che privilegiare sempre la piccola smetta di essere un privilegio? Ma Isabelle è irritabile, poche frasi passano il vaglio, pochi gesti galoppano indisturbati. Il suo setaccio è finissimo, non un solo pugno di ghiaia la fa franca. Poi tornerà a ridere, correrà in groppa al fratello, sempre nudi, gli slip, la maglia che scappa, il pigiama. Poi tornerà a svaligiare armadi per farci casette per LOL e Barbie. Le dici metti a posto la scatola, apri l’anta e trovi una famiglia in miniatura, una vasca, una cucina, una lampada a piantana.

Comunque faccio sedere lei, per prima. Sulla pattumiera del bagno. Vieni, Isa. Ho paura che lasciarla seconda le valga da insulto, mi costi un’altra sfida.

Quella s’incastona tra il lavabo e la vasca: – Dai, Sarah, fammi almeno passare!

Sarah sta zitta, incassa. Si ribella milioni di volte, ma questa non le viene. Punto mia figlia secca, m’impongo.
– Isabelle, basta! La devi smettere!
I genitori ancora fanno quello che si fa di solito. Sgridano le azioni brusche, riprendono i toni.

Lei si ferma, la bocca le fa un arco che cade, cade il mento, cadono le braccia. Immobile.
– Non riesco…
Sembra rotta.

E in un momento si ferma tutto, anche il bagno, anche il fiato. Allora la prendo, mi scuso con sua sorella, esco un momento.

Siamo sul dondolo in camera mia. Potrei raccontarvi di mille volte che sclero. Potrei dirvi di mille e uno cose che noi mamme, tutte – mica solo io – ci ingegniamo a fare. E anche i papà. Ma oggi voglio dirvi che i bambini soffrono. Chi prima, chi dopo.

– Vediamo se ho capito. Ti accorgi che sei nervosa ma non riesci a fare diverso?

Agita un piccolo sì.

Vuoi che ti aiuto a dirlo? Io credo che il tuo cuoricino è triste. Di stare in casa, di non vedere gli amici, di non andare all’asilo. Allora ti arrabbi. Mi dispiace tanto tanto. Vorrei dirti che domani usciamo, ma non posso. Il tuo cuore soffre proprio perché non lo sa, quando possiamo uscire. E forse ha paura che non usciremo più. Ma io posso dirti due cose: la prima è che hai ragione. Mi sento anche io molto triste. La seconda è che ti prometto che presto torneremo fuori, vedrai i tuoi amici, andremo alle giostre, ai gonfiabili, al ristorante. E intanto… intanto per fortuna hai i tuoi fratelli e la mamma e il papà. E puoi chiamare i tuoi amici.

Due giorni fa ha fatto un disegno, ci ha scritto «Mamma, ti ricordi le vacanze? Le faremo ancora».

– L’hai fatto perché sai che vorrei andare in vacanza?
– Sì.
– E anche tu hai voglia di andare in vacanza?
– Sì.
– E hai paura che non ci andremo?
– Sì.

I bambini proiettano e affidano al genitore la propria verità, perché questi la custodisca e la trasformi.

La prossima volta dovrò ricordarlo. Spostare l’asticella educativa delle buone maniere. Consentire un urlo in più, un gesto villano.

Provare a dare voce a quella bocca ad arco, sottile come è sottile il suo sentire. Debole, silenzioso. Perché i bambini cercano di non dare disturbo. Crediamo che stiano bene: ma sono solo zitti.

Sono zitti per natura, perché la loro sopravvivenza dipende dai genitori. I bambini sono programmati per obbedire sostanzialmente alle circostanze imposte. Pena, la morte.

Faranno di tutto per adattarsi. Per compiacere e proteggere il genitore. Per rendersi amabili. E poi si spaventano, si mortificano, di ritrovarsi irritabili o spenti.

Quali altri modi hanno, per sfondare la quarantena? Dove mettono lo strappo da una vita sottratta senza preavviso né previsioni?

Io credo che le madri che asseriscono: «Per me questa quarantena è una benedizione. Mi godo il figlio, e lui si gode me. Non avevamo mai avuto un tempo così, di solito sono sempre di corsa», siano ingenue e illuse di onnipotenza.

Ingenue perché non vedono che il figlio in qualche modo patisce la detenzione, e credono che non ne soffrirà. Illuse di onnipotenza perché non ammettono che

il figlio, passati i primissimi anni di vita, ha una necessità indispensabile di nutrimento altro dalla famiglia e dai genitori. Fingere che non sia così vuol dire usare questa quarantena a sconto di sensi di colpa per aver corso tutto il resto del tempo.

Ma i figli non sono nostri, non sono un sacco dove buttare le colpe, né il trampolino da cui spiccare i nostri salti.

I figli sono anime che abbiamo il privilegio di accogliere e il dovere di accompagnare. In salti e in voli che spettano loro. E che la quarantena sta impedendo.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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