Maternità

Eppure sei tu

QUANDO TI HANNO CHIAMATO SEI ANDATO CON QUELLA SICUREZZA IMPOSTA DAL PUDORE. HAI PRESO POSTO AL BANCO, L’AULA È MINUTA, SUI MURI NESSUN APPELLO ALL’INFANZIA, NON UN DISEGNO, UN COLLAGE

 

Chissà perché mi fa più impressione aspettarti adesso che stamattina, quando ti abbiamo portato. Forse perché so di ritrovarti dopo questa prima falcata tua, questo primo tempo solo. Il cuore è una cavalletta, dà i suoi piccoli tocchi, dentro, sotto la mia tracolla sottile. Stringo la mano delle figlie – mi accorgo – con forza inusuale. Forse, ci metto dentro qualcosa che non so vedere, tutta quella tensione che si è spinta dalle nove e poi tenuta indietro. Come questa calca.

Le prime sagome sulle scale, dove sei? Forme rigide di zaini ancora vuoti, frammentate nella vostra discesa animata. Sbarcate alle porte rovesciate sulla strada, cercate il volto che vi appartenga: come i viaggiatori al check-out.

Sono qui. Sono dove frughi, dove sai di trovarmi. Attendo i tuoi capelli sforbiciati da me due giorni fa, gli occhiali che riaccomodi sul naso senza usare le mani, con un uso incerto dei muscoli facciali. Quella statura di vetro, il tuo movimento da marionetta.

Ogni inizio ha dentro una paura.

Quando ti hanno chiamato sei andato con quella sicurezza imposta dal pudore. Hai preso posto al banco, l’aula è minuta, sui muri nessun appello all’infanzia, non un disegno, un collage. Alle tue spalle ascoltiamo questa prima «prof», come si dice. C’è come sempre la mamma outsider, indisciplinata, s’impiglia sulle prime parole dell’insegnante, parte a lamentare quello che non hanno imparato alle elementari. Come si fa con il Governo, sai? Ma tu non ti curare del caos che certi sollevano. È solo paura. Anche quella. È sempre paura. Ogni tanto raggiungo il tuo orecchio, ti bisbiglio che anche la prof è tesa, pensa parlare davanti a venti alunni nuovi, e altrettanti genitori: è il primo giorno anche per lei.

– Sì, ho capito.

Resti senza voltare nemmeno un accenno di spalle e di attenzione, non vuoi essere impreciso nella postura, ribatti con la secchezza che ti mantenga solido, che nulla sfugga, che niente s’increspi.

Mi piace, questa. Farà matematica e geometria. Mi sembra tosta, capita che si mette i jeans un po’ strappati, lo dice per rassicurarci che non c’è polemica in quel suo abbigliamento, lo dice per prepararci. Ma io credo lo dica per assicurarsi dalle nostre, di polemiche. E comunque, oggi i jeans erano interi. Altre cose fiche che espone sono: che i voti lei li abolirebbe, che la sostanza conta più della forma, che le divisioni che quella madre lamentava non apprese alle primarie, in fondo chi sa farle. Così, dice: – Ma chi di voi, sa farle? – e a me è parsa una domanda meravigliosa. Che scardini un po’ quel rigore con cui crediamo di istruire alla vita. Perché la vita è plastica, lo sai, amore mio. Duttile lei e duttili noi: e vedi che si va d’accordo. E poi che le note sul diario per lei servono poco. Sei in buone mani, ho pensato.

Gli altri professori non si sa chi siano, nessuno ha organizzato un ciclostile con su due facce e un nome, un piccolo Facebook docenti, tanto per sapere: contano di più le norme burocratiche. Li incontreremo uno a uno ai colloqui, chissà quando.

Sarai tu, a raccontarmeli, prima di allora. In quelle sillabe che ti rubo fingendo di non rubare, quando sfami il tuo appetito perenne, o ti arrotondi in una coccola.

Il libretto delle giustifiche: in quel blocchetto con la copertina verde mi torna il mio d’un tempo, lo stesso colore, quello degli ospedali, da Istituzioni. E poi mi raggiunge il primo giorno di tutti, dei tuoi:

una madre fa questo, perde il ricordo dei suoi primi giorni e lascia arrivare quelli dei figli. Poi si ferma, dopo le folle, il da farsi, in qualche svolta: e si accorge d’improvviso che sono passati cinque anni.

Non c’è ragione valida, oltre le ragioni fisiche, oltre la scienza del corpo e del tempo, degli anelli degli alberi, di questo crescere eterno che è, qualunque sia e ovunque sia il nostro dirigerci. Il nostro abituarci. O non abituarci mai.

Eppure sei tu. Sempre tu. E io – in fondo – sono io, tuo padre accanto, voi tutti solo molto più alti di cinque anni fa, il cortile diverso da allora.

Eppure sei sempre tu. Il tuo corpo da marionetta. Che adesso arrivi, mi vedi: sorrido più io, sono vittima di due labbra che dirompono. Redente da quella gioia di ritrovarti dopo la distanza incisiva degli inizi.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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