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MI MANCA L’UNIVOCITÀ DI PRIMA, UNA SOLA DIREZIONE, SOLO QUELLA

 

Di là s’alzano voci acute, strimpellano sui silenzi buoni della Pasqua. E io sono stanca. Mi sono svegliata ricordando settembre, quando la piccola ha cominciato l’asilo e io dovevo riempire le mattine. Riempire un campo nella mia carta d’identità che recita: “Professione.”

Da allora non è stato altro che tentativi. A volte schiumavano così densi da sembrare pantano. Allora mi cavavo fuori, un passo a fatica oppure un salto netto, mi mettevo in salvo tornando in quella normalità che risana. Questa delle voci che cantilenano anche un semplice ma io ho fame.

Mi manca.

Mi manca alzarmi e non dover perseguire niente. Null’altro che il vivere. Posato in piccole faccende, in bocche da asciugare.

Io sono una da protagonismo, e una da pareti bianche. Mi spingo in mezzo, a declamare il mio esistere. E poi torno a decantare in un angolo dove la penombra rassicura. Anche le alternative che ho avuto finora, per una strana coincidenza astrale, ricalcano lo stesso dualismo:

accettare una sfida accattivante ma senza garanzie, o accucciarsi nel certo che però non porterà molto lontano?

Ci si misura, si scopre una tenacia che non si conosceva.

Settembre. Farsi domande. Aspettare.
Pensavo posso reggere: qualche settimana e poi vedo. Una svolta dopo l’altra si ripete lo stesso zigzagare, bivi ricopiano bivi già superati. L’estuario non arriva mai.

Mi fermo sull’argine. Mi manca quando tutto questo torrenziale spingersi non era indispensabile.

Quando una giornata cominciava con un grido bambino e si spegneva in un carillon.

È lavoro, ti dici. È dura per tutte, tornare a lavorare.
Non è lavoro, mi dico. Rantolo sassi e la mia determinazione sembra un gioco autoimposto.

Non ho le scorte per un tempo così lungo. Sono partita con un foglio di carta e una penna. Con le mani in tasche vuote e gli occhi gremiti di slancio. Da qualche parte mi usuro. Centellino un tozzo di sogno che deve portarmi dove.

La necessità sublime e diabolica di imporsi al nulla che ci fa paura. Incidere la propria voce nel tempo, come quei gridi alti, di là, dei bambini.
Di rivendicare un posto nel mondo: a quel gavettone che scoppia in petto.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 4

  1. blogcambiopasso

    Accettare una sfida o accucciarsi nel certo? Io di solito non sono per gli accanimenti, ma nel tuo caso Maddalena la scrittura mi sembra così vitalizzante, che non riesco ad immaginarti senza un sogno che abbia a che fare con carta e penna.

    1. Post
      Author
      Maddalena Capra Lebout

      Sai, più procedo più imparo tante realtà e tanto della realtà editoriale che non conoscevo. Invece di una buona proposta, anche una sola, mi arrivano offerte poco convincenti. E ripetono lo schema di tutta una vita: accogliere una sfida senza garanzia, o accettare cose minori… Forse ci vuole solo più tempo, il punto è – intanto – restare presente a quello che già ho. E’ per questo, che a volte credo sia giusto staccare e riprendere una giusta prospettiva. Grazie per le tue parole.

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