I beffardiMaternità

Cosa (non) fare in un centro commerciale

Fonte: www.policentro.it

Fonte: www.policentro.it

Certo, mi rendo conto che, il sabato pomeriggio, molte altre famiglie si sollazzino con attività più consone allo stato anagrafico (dei genitori e dei figli), tipo li portino alle giostre, o a fare la spesa, o, ancora, a lavare la macchina. Certe di queste imprese con l’accattivante prospettiva “vedrai com’è bello”, oppure “ti compro una cosa che scegli”. O un rassegnato “va fatto, e non posso lasciarti a casa da solo”.

In effetti la macchina una volta l’abbiamo lavata con prole al seguito, e non è stato propriamente gratificante. E poi, con un tappeto a base di crackers sminuzzati, terriccio, brandelli di fazzoletti di carta e simili, siamo inesorabilmente scivolati verso il lassismo più totale ripromettendoci di avere più cura della vettura in futuro.
Le giostre, invece, sono teatro regolare di questi ultimi giorni, di solito è il capo famiglia a condurre i pargoli, mentre la sottoscritta si prende una pausa oppure si occupa dell’ultima arrivata. Attività che le ha meritato la seguente, cocente rivelazione da parte della mezzana Sarah: “I maschi non hanno le tette. I maschi portano i bambini a scuola, alle giostre, al parco. Invece le femmine danno il latte.”
Incredibile come, subliminalmente, certi cliché prendano forma senza la nostra supervisione.
E la spesa… be’, anche la spesa, all’alba delle sei del pomeriggio, è già fatta, se i figli non sono malati, non si deve fare a turno, e in settimana hanno regolarmente riempito lo stomaco e vuotato il frigorifero. E, certamente, non in uno dei grandi centri commerciali dove per non perdere di vista i cuccioli servono: cellulare, cercapersone e una buona dose di energie.

Perciò, se alla ricerca (vana) di un nuovo microonde e un paio di scarpe per la mamma, ci inoltriamo nella selva di uno di questi mostri del consumismo, una buona ragione c’è.

Innanzitutto il parcheggio: sotto minaccia del grande siamo costretti a scendere la rampa del sotterraneo perché – pare – la ripida discesa ha un fascino che noi, abitanti stabili a piano terra con parcheggio scoperto nella corte antistante, non abbiamo molte occasioni di gustare.
Ma, soprattutto, il grande motore che ci (li) ha spinti nella vettura con insolita solerzia, è l’attrattiva delle rampe mobili. Sì, quelle scale mobili senza gradini, che portano da un piano all’altro.
I bambini fremono già alla vista.

“Aspettate!” Non possiamo lasciarli incustoditi.
“Possiamo?” Sì, adesso potete.

E mentre Isabelle osserva la scena con dolce perplessità dalle mie braccia, i due grandi fanno su e giù, sotto il nostro occhio vigile. Allegri, festosi, che quasi ti chiedi chi te l’ha fatto fare di spendere dieci euro in giri alle giostre, quando bastava una stupida rampa gratis.
Non che questa non costi proprio niente: un paio di cazzate bisogna pur comprarle, già che ci siamo, e poi uscire dalle casse come tutti. Ma valgono lo spettacolo.

Mi rendo conto, dicevo, che altri utilizzino il tempo (e le rampe) per ben altre attività e, tuttavia, quando la commessa in tuta blu ci avvicina per riprenderci, ponendo tristemente fine al divertimento di tutti, non posso evitare di chiedermi: hai mai avuto dei figli? Il moroso ti ha dato buca? Sei incazzata nera di lavorare mentre noi ci sollazziamo?
“Signora – mi apostrofa ignorando completamente che non sono solo io ma siamo in due, mio marito e io – se poi si fanno male la responsabilità è nostra.”

Lo sapevo, sapevo che prima o poi sarebbe successo. Neanche fossimo lì da mezzora. Cinque sparuti minuti in cui tutti i passanti hanno goduto a loro volta dei sorrisi di due bambini che si illuminano per così poco. Tranne lei.

In fondo c’ha ragione, come darle torto?
“Andiamo, non si può” riprendo i bambini.
Incasso la breve ramanzina, e commetto l’imperdonabile errore di fare due parole col marito invisibile: “Ma perché sempre a me?”
Quella mi sente (famosa come sono per il mio tono di voce poco adatto alle confessioni) e parte in rimonta.
“Dico solo che c’è anche mio marito, perché se la prende solo con me?”
“Non l’ho visto, io ho visto lei.” (Centottanta centimetri di macho alla mia sinistra che chi-vuoi-che-sia?)

Perché, in molte occasioni, si considera la mamma la responsabile di tutto? Perché me le tiro addosso sempre io? C’ho la faccia da attaccabrighe, io. Per sfiga costituzionale.
Bastava dirlo in un altro modo, tipo: “Vedo che si divertono, ma purtroppo non si può fare, signora.” Avrei smesso con un sorriso. Psicologia da quattro soldi: alle mamme non piace essere corrette davanti ai loro figli, e non piace quando si manca della minima empatia.

Che poi, a ben guardare, se proprio vuoi rovinarti il sabato sera, i bambini potrebbero cadere anche sul corridoio lustrato, tra gli scaffali, alle casse. Restare incastrati nel carrello, pizzicarsi le dita nel nastro trasportatore. C’hai niente di meglio da fare?

Ps: un microonde, lì, c’era anche, e a buon prezzo. Ma mica torno dentro a comprartelo.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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