I beffardiMaternità

Come ti svezzo la bambina

Sei mesi di allattamento esclusivo, l’OMS non lo sa, ma sono sei mesi di battaglie (non esclusive)

 

Cominciamo con la pioggia. Che è sempre un buon inizio. D’altro canto quest’anno: luglio scimmiotta ottobre; a noi Lebout le cose facili annoiano.
Macchina? Macchina.
Due isolati di pioggia più in là, approdiamo al golfo della pediatra, obiettivo: visita filtro del sesto mese (che, tradotto, significa: “Guarda come ti svezzo la bambina”).

L’ombrello con le braccia rotte (il solo disponibile e abbandonato da sempre nel bagagliaio come un cane) ci salva come può, prima resta appeso tra tetto e portiera dell’auto come uno sguardo di traverso mentre estraggo la piccola dalla vettura, poi ripara il mio lato materno – quello che regge l’infante – e infine mi consegna allo studio medico con l’altro lato leopardato di pioggia.

Tocca già a noi. Non ho paura. E di che? Ho solo quel solito disagio-da-controllo-medico misto al classico se-qualcosa-non-va-è-colpa-di-mamma che si accompagna alle visite dei figli come un tatuaggio semipermanente.
“Buongiorno, come sta?” allunga il saluto dal basso, la medichessa che ci riceve pronti via.
Come sta chi? Isabelle, o io? Con questa nenia del darsi del lei, talvolta scricchiolo un po’.
Mi soccorre: “Tutte e due, vi trovo bene.”
La piccola spalanca lo studio con uno di quei sorrisi che in quattro e quattr’otto fan tabula rasa di ogni riserva, la dottoressa – lo vedo – è già sua.

“Senta, ma quanto dovrebbe dormire nelle 24 ore, alla sua età?”
Quella, che non ha i miei problemi nell’interpretare la terza persona al singolare, risponde con fermezza: “Dieci ore.”
“Dieci ore?!”
Vorrei dirle che ho letto che…, che gli esperti del sonno dicono…, invece ripiego su un timido “credevo 15, ora più ora meno.”
“Mah, insomma, 8 di notte, una al mattino e una al pomeriggio, nella realtà poi è così. Sì, 15… dovrebbe. Ma dovrebbe.”
E io dovrebbe, le ho chiesto.

Evito di domandarle: a-se ha figli
b-se ha bevuto
c-se allora hanno bevuto tutti gli altri, i promotori dei metodi (Hogg, Estivill etc), che professano 15-17 ore. Arranco alla ricerca di un seguito quanto più cortese possibile: “Senta per me è proprio un problema, sa, vorrei parlarne… ma vedo che…”
È già in piedi, in direzione lettino, lo stetoscopio scalpita sulla maglietta Asics.
“Ah, allora prima la visita, così siamo sicuri che va tutto bene, e poi ne parliamo con calma…” avanzo tra la domanda e la proposta dimessa. Annuisce. Sdraio la piccola che a contatto con la carta igienica maxi con cui è rivestito il lettino abbandona prontamente i gorgheggi felici a favore di un lamento monocorde con punte acute. La svesto il necessario. Lo stetoscopio finalmente libero dai giri di boa cui era costretto intorno al collo della pediatra atterra sul minuscolo petto della mia creatura.

“Diceva, quindi? Dica, dica.”
Ma come, adesso che c’hai lo stetoscopio nelle orecchie, ti devo parlare?

Intuisco che non se ne farà niente, che il problema del sonno esula evidentemente dalle questioni pediatriche in senso stretto. Mi accodo alle verifiche che la dottoressa sta effettuando. Speriamo che il resto vada bene.
D’altronde, di lì a dieci minuti, al momento del congedo, il foglietto-ricevuta della visita reciterà: “Problemi riferiti: nessuno.”

No, non è strabica. Torace ok. Cuore ok. Orecchie ok. La fontanella boh, non gliel’ho vista toccare.
Intanto, infilandosi nel mio silenzio sulla questione sonno, come una biscia nella crepa su un muro, parte per la guerra dello svezzamento: “A cinque mesi e mezzo si comincia.”
“Sì, Si-ora (Signora). Si fa a cinque mesi e mezzo.”

Ribatto con la schiettezza che mi rende difficile la permanenza in questo mondo (e in questo studio): “Io la svezzo a sei.”
“Si-ora… Si fa a cinque mesi e mezzo, perché l’età giusta è questa.”
“Ma l’OMS…”

Ma l’OMS chissenefrega, evidentemente: sei mesi di allattamento esclusivo, l’OMS non lo sa, ma sono sei mesi di battaglie (non esclusive): con mia madre (“Ma dalle un bel biberon col biscotto dentro.” O la più simpatica versione: “Mamma, io ho bisogno di una bella pappa!”). Con le mamme che non amano la poesia di un geco attaccato al loro petto e non vedono l’ora di sostituire l’operazione con una bottiglia di plastica e latte chimico. Con i dottori che hanno paura (o invidia?) che il latte basti al bebè, perché se la natura è così forte, i medici allora sono piccoli piccoli.

La conversazione cade lì, sull’OMS. Poi la prova bilancia procurerà un sottile guizzo di rivincita alla svezzatrice.
Lunghezza ok, peso… sei chili quattrocentocinquanta. No, quaranta. Quattrocentoquaranta.
“Ferma, dai, amore!”
Per dirle “amore!” in quel modo, mentre le costringi le gambette sul piatto metallico della bilancia, tanto vale che la chiami mocciosa.

Ripannolino la piccola prima di eventuali, indesiderati spettacoli pirotecnici che porterebbero la pazienza di tutti pericolosamente vicino al precipizio, e siamo di nuovo tutte e tre sedute: noi di qua, Isabelle ormai irritata, e la dottoressa di là, davanti al monitor come alla bocca della verità. Scruta la tabella di crescita, segue col dito le curve dettate da Chissachì, riemerge dall’osservazione: “Si-ora (Signora), è un po’ sotto. Ha rallentato un po’ la crescita. Bisogna svezzarla, sta bambina.”
Ma se ha detto che sta benissimo?

E quelle cifre le scribacchiano un sorriso che mi fa da smorfia.
“Però non piange mai per fame, e quando è al seno si distrae subito. Ecco, vede? Sono stata al consultorio per l’allattamento per sicurezza perché temevo mangiasse poco, mi hanno detto che dopo il terzo mese è normale che la crescita rallenti…”
“Sì, Si-ora (Signora), ma infatti è normale.”
Tutto chiaro.

Poi sfila da sotto non so dove un foglio col titolo SVEZZAMENTO. Si assicura che non diamo glutine prima dei sei mesi: “Può dare intolleranze.”
“Guardi, la sola cosa che le abbiamo dato finora è un savoiardo per tenerla buona mentre ceniamo. Proprio un biscotto, insomma.”
“E non va bene.”
E neanche questo va bene.
“Ma se tutti i biscotti per i bebè sono fatti con la farina…”

Difficile trovare un punto d’incontro, oggi. Sarà che quest’estate che non fa l’estate ci innervosisce un po’ tutti, sarà che vorresti essere già in ferie e invece stai qui con una mamma che rompe proprio le… regole, ma mi piace ascoltarti mentre mi dai l’ultimo, irrinunciabile consiglio:
“Per un mese la pappa a pranzo. Poi introduce quella serale. A quel punto è chiaro che avrà meno latte, le dà quello artificiale. Un numero 2.”

Al fronte combatto l’ultima battaglia: “Ho allattato gli altri due fino a 19 mesi. Non vedo perché fasciarci la testa prima di romperla.”
“No, ma infatti. Dico…”
Dica, dica.

Stretta di mano, foglietto in borsa.
“A merenda si può somministrare un frullato con mezza mela, mezza pera e 120 gr di latte artificiale” recita una riga tra le altre. Il latte materno non figura nemmeno.

Vorrei capire perché al mondo gli dà così fastidio che un bimbo cresca col latte di mamma.
Quello che ho capito è che i pediatri e la natura viaggiano con pochi incroci possibili, che sarebbe meglio se quelli fossero anche genitori, e che van bene solo se c’hai i figli malati. Ma malati davvero.

E meno male che fuori ha smesso di piovere.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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