Come è nato questo libro

SOLITAMENTE L’AUTORE È ONNISCIENTE, SA GIÀ ALMENO A GRANDI LINEE COME FINIRÀ LA STORIA. INVECE IO LA SCRIVEVO MAN MANO CHE LA VIVEVO. CHI LEGGE LA SCOPRE CON L’AUTORE: È COME GUARDARE UN VIDEO RIPRESO DAL VIVO

 

Comincio tre giorni dopo. Dopo il primo accadimento. Non so nemmeno io perché lo faccio, non conosco la destinazione di tutte queste righe, ma l’ingombro del reale impone un approdo:

la scrittura serve a dare forma, trasmuta cose troppo grandi e difficili da gestire, in qualcosa che è creativo e «contenibile».

Giorno dopo giorno c’è tutta questa esuberanza, questo salire vertiginoso dei sensi e degli eventi, forse sto solo tracciando un diario, però mi piace come si scrive, si scrive che è come se me lo dettassero.

Ogni volta che ho un punto nuovo, ogni volta che devo dire qualcosa, io vado lì, e quel file punto docx è come un amico al bar:

uno di quelli che ti conoscono bene, che sa quando alzi un sopracciglio, quando tormenti i piedi uno sull’altro; sa che quando ti mordi il labbro da un lato hai una paura fottuta. Però non te lo dice, ti dice «dai qui, dammi». Ti prende il cuore e te lo inzuppa in un buon caffè. Diventa così: il mio documento sa tutto, non gli devo nulla, nessuna spiegazione, io vado lì e so che c’è qualcuno. E poi, certo, nei giorni anche mio marito sa quello che sento, siamo dentro e fuori dalle mie righe, però a lui le farò leggere solo molto dopo. Dopo tutto, tutto quanto.

Di solito uso il blog, ma non potevo, aspettavo di capire che direzione avrebbe preso la mia vita. Ho scritto anche quando stavo male, ho scritto perché dovevo correre dietro ai fatti. Finché è stato chiaro. Allora è diventato urgente. E – strano a dirsi – questa volta il valore e il senso sono così totali che il mondo editoriale non l’ho nemmeno considerato.

Il racconto era lì, scritto in tempo reale: non c’era alcun lavoro da fare. Ho deciso di pubblicarlo subito, perché avevo bisogno di dire ai miei lettori cosa mi era successo: uno ad uno. Perché avevo bisogno del loro calore, prima, e di dare una testimonianza forte, poi.

Il titolo nasce subito: prima di sapere come andrà a finire. In macchina, verso l’ultimo appuntamento, quel venerdì 28 dicembre 2018, Mathias guidava e io gli faccio: «Se finisce qui ho già pensato al titolo: “0 virgola 6”». Lui ha sorriso, bello!, però ci ha difeso, rivendica solido: «Non finirà».

Lavoro alla copertina una sera che gli uomini sono allo stadio. Le bambine giocano e io ritardo la cena, per quella: ci passo quattro ore e non sono convinta. Poi mi viene in mente quella foto meravigliosa che ho in un folder, salvata in uno dei mille giri che sei costretta a fare per trovare immagini per il blog. Non l’ho mai usata, voglio quella: ci metto su il titolo, il mio nome. In cinque minuti la copertina è pronta.

Il più è stato capire come funziona Amazon, caricare il file e scoprire che il suo sistema sputtanava ogni volta la mia formattazione, e poi a furia di aggiustamenti, di trials and errors, arrivare a un piccolo libro con una sua dignità.

Mi serve, quella dignità: perché non sono brava ad accettare quando faccio gaffe, ma soprattutto perché quella dignità la merita questa storia.

 

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