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Maternità

Ti conviene amare

Avevo appena rovesciato il caffè. Una tazza intera, sui miei fogli, il mio libro. Mathias entra dal giardino. Cosa fai?

Eh, non hai sentito? Se non accendi il telefono, non guardi skype.

No. Non accendo. Non guardo.
Oggi va che mi prendo un giorno dalla maternità, mi riduco al minimo sindacale. Ho bisogno di quel suono acuto che fa il dolore quando lo lasci stonare. Come la corda tesa di un violino.

Hanno chiamato dalla scuola, troverò due telefonate senza risposta sul mio cellulare. Sarah dice che ha nausea.

Asciughiamo il caffè. Resta un quadrato rosa dove c’era un post-it. Lui torna a lavorare. I sensi di colpa per non essere stata la madre che c’è, io, casalinga e ammortizzatrice, mi corteggiano. Li beffeggio pensando al latte che lui le ha dato a colazione. Te l’avevo detto di non darglielo, forse è questo che le dà fastidio. Non ci ho pensato, dice.

Adesso c’è anche lei. Dovevo uscire in una delle mie passeggiate con Isabelle. Sono sveglia dalle 5, morsicata a più riprese da quest’insonnia che non so. Se è il cortisone o i fatti di Patrick. Invece ho lei. Che poi sta meglio. Ma io sono ancora dentro ai miei violini. Non rido, trascino parole indispensabili, le altre le taglio via.

Compriamo dei sandali, usciamo che è già quasi l’una, ho bisogno di normalità. Sarah è contenta, sta bene. Faccio. Quello che c’è da fare.

Le metto in salotto per terra, una grande tovaglia plastificata dove possono fare bricolage con la scatola dei sandali. Sarah fa un collage, c’è scritto La nostra famiglia è dolce come una fragola. Col disegno di una gigantesca fragola. E io penso dovrei uscire un po’. Dai miei vespri. Sorrido, voglio e non voglio quella dolcezza, mi stana ma sono ancora intorpidita.

Dopo pranzo Isabelle prende a rincorrermi, scoppiettano. Lei mi entra tra le gambe come un cane.

– Guarda! Mi porti in spalle? – dico. Perché la sua testa sbuca lì sotto, e a lei piace, stasera vuole farlo vedere a papà “che porto la mamma sulle spalle”. E anche a Kick, quando torna da scuola.

La rabbia, la preoccupazione. Devono sfidarti, i bambini. Tirare il filo giusto. Stai arroccata per salvarti da cosa. Finché la spuntano. Ché il loro riso è più forte. Ché a starne fuori va’ che sei solo tu che perdi.

Se il malumore ti sottrae a loro non è mica la giustifica di tua madre a scuola, non ti esonera da altro che il boccone buono.

La festa è tutta lì, intorno al tavolo della cucina, su quella tovaglia a terra accanto a uno stendino. In quella fragola, nel cane tra le gambe.

Da cosa ti difendi? Ti conviene amare.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 8

  1. mamma avvocato

    no, vabbè, a parte l’insonnia, che ormai a me fa compagnia da troppi mesi, le tue parole mi hanno di nuovo commosso. La smetti di farmi venire le lacrime agli occhi?!? 😉

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      Maddalena Capra Lebout

      Spero, carissima, che tu non abbia motivo alcuno di preoccuparti davvero in questo dolcissimo periodo. In ogni caso lasciati alleggerire dal ricciolino, anche se noi adulti siamo sempre pieni di inerzia. :*

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  2. Carmen

    Si potesse imparare da loro a lasciar andare tutto, con la velocita’ di uno schiocco di dita…
    Lei lo chiama “Kick”? Che tenera…

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      Maddalena Capra Lebout

      Sì, anche a me piace il nomignolo 🙂 I bambini hanno una vita troppo forte, dentro, per perdersi in cazzate. O anche in grandi guai. Poi lo fanno (soprattutto di perdersi in cazzate), ma a differenza degli adulti escono più freschi di prima.

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