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I beffardi

Smalti

L’IMPERSCRUTABILE FRETTA DI CRESCERE

 

La prima volta che ho avvicinato il concetto di smalto per le unghie fu alla Standa. Un’idea di quanto tempo sia passato vi arriva a missile direttamente dal nome di questi supermercati che se non sapete cosa sono levatevi di torno.

Alla cassa ci arrivavo appena, stringevo un flaconcino di vernice iridescente, perché allora era di moda così. La cassiera mi guarda armeggiare coi miei pezzetti da mille, poi mi liquefà in un improvviso: «Ma non sarà mica per te?!»
«No, è per mia sorella…», le mani sminuzzate di vergogna sul banco.

Ed era vero, era per mia sorella. Ma restava l’offesa imperdonabile di esser stata considerata troppo piccola. E non tanto perché questo era in apparente disaccordo col pitturarsi le unghie, quanto perché

ero affetta dalla sindrome del «dimostri meno degli anni che hai».

Menarca tardivo, tette tardive (le sto ancora aspettando), lentiggini, capelli naturalissimi, nel senso di «lunghi e che scendono», l’apoteosi del non-interventismo da fanciullina collegiale. Cerchietto a suggellare. Nei tempi più bui della mia adolescenza però li tagliai e il peggio che riuscii a guadagnarmi fu quella volta al parco giochi in Alto Adige, quell’essere adulto di sesso probabilmente femminile che m’intimò di spostarmi dalla giostra girevole, insomma uno di quei tornelli che tutti i bambini si siedono e poi girano il volante al centro e la ruota impazza e non si sa come ma non vomita nessuno.

Comunque mi si avvicina e mi dice «bambino, levati».

Come per lo smalto, il gibollo psicologico, anzi la frattura scomposta del mio animo, certo non fu per la forzata mobilitazione del mio agile corpo: ero sottostimata di età. E pure maschio.

Fu allora che per la prima volta pensai che tutto sommato le madri erano una specie umana di merda. Almeno coi figli degli altri.

Come per molte altre cose gli inizi furono timidi, uno smalto rosa tenue, uno trasparente. Lo stesso di certi reggiseni che acquistavo invariabilmente privi di pizzo e virginali per non accusare sensi di colpa riflessi dalla mia madre interiore (faccio notare che stavo per digitare inferiore: non so se nel senso delle parti basse o di livello di stima).

Lo smalto rosso è una scoperta quasi recente, data dall’allineamento d’età con quella cassiera che forse non è nemmeno più viva. È vero, confermo, il rosso è da signora. Quello che non sapevo è che fa evidentemente parte della naturale evoluzione della donna smaltarsi di quella tinta a una certa età. Ed è altrettanto spaventoso averla raggiunta, quell’età.

Mentre spennello le unghie minuscole delle mie figlie e soffio dita,

m’interrogo sul paradosso di me bambina affetta dalla sindrome del «dimostri meno degli anni che hai» quando poi passi gli altri 3 quarti della vita con la patologia opposta.

Dev’essere parte del processo naturale di crescita: come lo smalto rosso.

 

BACKSTAGE

– Mamma adesso è asciutto?
– Sì amore, puoi giocare.
– Allora posso grattarmi?

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 4

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      Maddalena

      Sei davvero giovane! Io la fase rosso purtroppo l’ho raggiunta da anni. In compenso adesso navigo a ritroso e lascio al naturale, le pitturo solo quando per gioco lo faccio alle figlie, e quindi – tassativamente – young! (Nella foto si notino i colori misti… ;))

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