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Maternità

Quello sbrego che la maternità non può dire

ASPETTO CHE PASSI QUELLO CHE HA VISTO, COME MI HA VISTA, MIO PADRE: UNA MADRE CHE NON CE LA FACEVA

 

Una famiglia da SOS Tata. Siamo arrivati a questo. Lo guardavo in tv, pensavo ma dai: scene ingovernabili, genitori senza arte né parte.

Una famiglia-a-scoppio, come quei sacchetti di carta. Di solito fanno i turni. Tre esplosivi, insieme, non era mai accaduto. Se non in casi eccezionali, quelle giornate che ti basta chiamarle “di merda”. E stai già meglio. A volte anche solo dopo cinque minuti.

Aspetto da giorni quei cinque minuti.

La mia bocca di lupo, oggi, era l’ennesima visita medica. Ci arrivo in ritardo, ho “fatto la pace” con Isabelle quattro volte. Il suo modo di rassicurarsi da cosa. L’orco del nonno venuto per loro. Stava in piedi nelle sue ciabatte di spugna dalla parte opposta a lei, in una cucina divenuta insopportabile. All’ennesima pace scompare, scemano i sussulti, penso ha capito. Invece la trovo in un pianto zitto sul letto del fratello, in una camera che è la faccia esatta di questi tempi. Le stesse smorfie.

Nemmeno le caramelle mi aspettano. C’era quel bel cesto con le caramelle grandi e il loro sbuffo di carta. Come castagne. Le avevo promesse ai bambini. Saldo la visita. “No, le abbiamo finite.” E io penso non posso andare a casa. Non per le caramelle: per me. Non può essere una visita medica il mio viaggio esotico di oggi. Esco, cammino.

Vorrai mica andare al parco? Sì, invece, mi compro un pacchetto di sigarette, mi scelgo una panchina. Compro anche l’accendino. Sono cose che non ho in borsa da secoli. Una grande borsa da brava madre: il cellulare, i cracker, l’antibatterico. I fazzoletti di carta.

Adesso ci nuota anche un pacchetto di Marlboro, e un accendino azzurro, come la maglia della Nazionale.

Cammino e non lo so.

E adesso vorreste sentire il cuore di mamma: “Ma dove credi di andare? Tutta la tua vita è a casa, da loro”, e vedere che pian piano accelero, mi butto al collo quelle tre scimmiette. Oppure la gran Donna, quella che “è”: prima, durante, dopo i figli. Statuaria, salda.

Non sono nessuna delle due. Lo penso mentre raggiungo il parco che ho puntato, mentre immagino cosa sarà un parco quando loro saranno grandi, se resterà animato, come da piccoli instancabili fantasmi, oppure sarà quello che è, barboni stravaccati, cemento sotto piedi che invecchiano, piccioni che nessuno rincorre. Buchi nella città, davanti al becco giallo di qualche merlo.

Molte delle cose che facciamo o non facciamo obbediscono alla fuga. Che è come dire che il desiderio – spesso – nasce dall’odio, non dall’amore. A contendersi i miei passi non erano due forze buone, ma solo i sensi di colpa e, intanto, il bisogno di evadere.

Poi siedo su un’ansa di questo vialetto e abbraccio la borsa. Apro il pacchetto, accendo: rimango col primo respiro bianco per alcuni lunghissimi secondi. Sul viso un’espressione come “si può?”. Si può fumare in un parco, si può essere senza bambini, davanti ai becchi gialli e muti, a estranei che ho il tempo di guardare, e madri che non sto invidiando.

Quando finisco non so nemmeno cosa farne, dove buttare il filtro. Sono una scolaretta. Non sto meglio, non sto peggio.

Aspetto che Mathias sia a casa, salvi i bambini dall’ennesima lite e Isabelle dalle braccia dell’orco. Che passi quello che ha visto, come mi ha vista, mio padre: miserabile. Una madre che non ce la faceva. Mi seguiva con quei suoi non ti arrabbiare, non serve che hanno fatto la sua sfortuna quando ero ragazza. Come un chierichetto con un inutile incenso. Ha visto la frattura. Quei collassi privati che di solito stanno nella cassaforte delle mura domestiche. Quello sbrego che la maternità non può dire.

Perciò resto qui, la borsa rossa non è più in grembo, in grembo ho le mie parole, un quaderno dello stesso colore. Il mio piccolo fallimento. Il tempo che ci vuole.

 

(Poi m’incamminerò, qualcuno chiamerà mamma! e io alzerò gli occhi di scatto. La maternità è un’identità inappellabile).

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 9

  1. Giovanna

    Mi hai portata in giro, mi hai seduta su quella panchina, forse ti tenevo la borsa rossa mentre tu, dal tuo grembo, raccoglievi parole. Ti abbraccio, forte❤

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      Maddalena Capra Lebout

      Grazie Giò, sai annullare le distanze <3 Spero di fare in fretta, riassorbire quello che sta creando problemi in famiglia, accettare, cambiare, capire o non capire. Di fare in fretta io, perché - a quanto vedo - il tempo non si sbriga.

  2. Anonimo

    Madda settimana prossima rientro a Milano, se hai voglia di un caffè e due chiacchiere il tempo lo troviamo

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  3. Mamma avvocato

    Credo capiti a tutti. Di intravedere le crepe nella vita familiare altrui, dei nostri cari soprattutto. Di crollare, di scappare, di cercare aria, di ripiombare poi nella nostra identità. Perché la verità è che siamo e saremo sempre madri, ma non solo. Siamo persone, con inevitabili cedimenti. E se non ci fossero, se non sapessimo gestirli, sarebbe pure peggio.
    Spero che la situazione a casa tua sia un po’ migliorata. Io ti sono vicina, per quel che vale e come posso!

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      Maddalena Capra Lebout

      Anche io credo che i cedimenti siano inevitabili e forse è meglio che ogni tanto ce li concediamo, piuttosto di nasconderli o fingere con noi stesse una forza che non abbiamo. La vera forza è poi riprendersi. In verità pur essendo un fatto intimo, questo “crollo”, ho preferito comunque renderlo pubblico, perché i falsi pudori, la felicità a tutti i costi, non aiutano nessuno.

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  4. blogcambiopasso

    Ottimo! Ora sono di ritorno da Roma ma riparto subito x la collina dai bimbi. Quando sett prox rientro definitivamente a Milano mi faccio viva e ci organizziamo. Baci

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