Quarantena: piccole violazioni

Mio padre aveva un sistema per farci salire in montagna.

Certo, ci tirava per mano.

Di tanto in tanto sfoderava una composta di frutta o una zolletta di zucchero: a quei tempi si credeva che gli zuccheri fossero buoni. Sì, anche quelli semplici. Oppure, ce la menavamo banalmente di meno.

Ma il grande trucco era un altro: superati i duemilacinquecento metri di altitudine c’era la parolaccia libera. Il suo altimetro avrebbe aperto le gabbie.

Voi adesso immaginatevi dei ragazzetti, annoiati, stanchi, sudati, e pure avviluppati in improbabili pantaloni alla zuava (la versione a coste di velluto e cerniera dei più recenti e leggiadri «Capri»), calzettoni di lana spessi come piumini e scarponi rigidi come gessature. Abituati che un semplice «cacchio» se gli scappa è come bestemmiare. Che le cinque dita non le contano solo sulle proprie mani. Che le cose, tutte, si dividono in due categorie: i SÌ, e i NO. Che i «forse» sono dei «no», i «vedremo» sono dei «no», e perfino i «sì», a volte, sono dei «no».

Perché, ammettiamolo, siamo cresciuti tutti così.

Che salgono sui sentieri sconnessi, le pietraie a rischio caviglia, i pascoli scampanati dalle vacche, i colli sterminati dal vento. E sanno. Che li aspetta la grande riscossa.

Non che bastasse, ma giuro che aiutava.

Era l’idea del proibito, che ci tirava, dove il paesaggio aveva già esaurito il suo fascino ai nostri occhi stufi, e le gambe non sapevano più se sudare o farsi un altro giro di pelle d’oca. Lo stesso proibito che ci avrebbe, di lì a pochi anni, inondato di ormoni in sonni segreti, e di segreti in veglie private. In appostamenti, in bocche da osare.

L’aveva imparato, a sua volta, da mio nonno: e poi aveva ridotto la quota originale dei tremila a duemilacinquecento metri, perché noi si andava in Trentino, dove le altitudini sono inferiori. E se no, sarebbe valso a poco: perché lo «strappo» dev’essere possibile, realistico, prossimo.

Non so quanti improperi sono girati per casa in queste settimane. Li correggiamo, perché siamo a duecento metri. Perché quando poi sbucheremo al di là del re dei virus, o più plausibilmente corazzati al suo fianco, non vorrei spedire per il mondo ragazzetti che si esprimono a cazzi.

Però, qua e là, chiudo un occhio.

E a volte ci faccio un giro ampio, una faccia complice da regola infranta. Perché si sappia che la regola resta tale. E perché si provi ogni tanto quella violazione ingenua. In questi giorni senza violazioni.

 

[Photo by Belinda Fewings on Unsplash]

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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