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Maternità

Piccole mancanze

Photo by Yeshi Kangrang on Unsplash

Mancano ancora regali.

Le influenze a ciclo continuo – un po’ come le lavatrici – ci hanno occupato senza interruzioni per le ultime quattro settimane.

C’è un motivo, se odio l’inverno. Se penso a quando ero ragazza e non c’era differenza tra le stagioni… Ho ricordi di minigonne vertiginose, di quelle che zittivano mia madre e la condensavano tutta in un labbro scettico. Ho ricordo di discoteche e superalcolici, i soli che apprezzassi: un po’ perché non mi piace la birra (e nemmeno il vino), un po’ perché avevo fretta di stortarmi. Così uscivo quasi digiuna, per cena un mestolo di zuppa, e poi un’ora di preparazione.
Gli happy hour erano l’occasione migliore. Se avevo fame mangiavo e non bevevo: così avevo la serata del tutto gratis. Se volevo conquiste bevevo senza mangiare. Poi arrivata a casa aprivo quel grande scatolone che mia madre teneva sotto al mobile: quello dei pacchi di merende ancora da aprire, una sorta di dispensa per cucine minute. E con due tazze di latte andavo a letto che lo stomaco faceva il giro del mondo in ottanta secondi.

Comunque. Non avevo freddo, se ce l’avevo era la scusa buona per stringermi a qualcuno (mamma non te la prendere, tanto ormai sono sposata da dieci anni, questi sono aneddoti della mia vita di prima).

Ho retto tutti quanti gli anni dell’università senza un herpes labiale, una febbre, una raucedine.
Poi ho fatto i figli. Sono diventata una comune mortale.

Ieri dalla dottoressa c’era un sacco di gente. Cazzo si ammalano tutti adesso, ho pensato. Be’ almeno non sei la sola, ho provato a suggerirmi. Poi il mio occhio attento ha scovato pandori e stelle di Natale che fiorivano come nemmeno i funghi a settembre. Erano tutti per lei. C’era il corteo dei pazienti, i più anziani, che venivano come i magi, omaggiavano la medichessa.
La prossima uscita sarà la farmacia.

Posso comprare Oki per tutti, spray per il naso, e poi… se va avanti così vi trovate un gingillo da bebè, i soli extra disponibili in una farmacia, un ciuccio, una tettarella.

Ma il grande guaio è che Isabelle mancherà. Oggi, nel grande spettacolo di tutte quelle testoline allineate, di quelle mani piccine che s’alzano sotto la direzione del ritmo musicale, di una maestra vestita a festa.

La prima recita di Natale della sua vita.

Ieri le ho chiesto se le dispiaceva. Ha estratto la sua timidezza, ha detto di no, che non vuole fare lo spettacolo. Invece io, ingenuamente, sono montata in un entusiasmo infantile che doveva supplire il suo.

– Ma è bello! Vuoi che ti mostro i video di Patrick e Sarah quando hanno fatto lo spettacolino all’asilo?
– Sì!

Patrick era ancora chiuso nei suoi limiti, era un puffetto con la felpa rossa, gli altri inanellati per mano, lui la sua mano la lasciava consegnata a quella della sua maestra. E poi cantava poco, si faceva piccolo. Era il solo seduto in grembo all’insegnante, intiepidito da quelle braccia rassicuranti.

Sarah l’avrei detta più spavalda, di Sarah avrei detto tante cose, poi il tempo e gli eventi bucherellano quella grande certezza che una madre si costruisce dentro inconsapevolmente.
Il suo primo spettacolo era l’ultimo di Patrick alla materna: erano entrambi lì, in quel tappeto di teste e di gambe incrociate sul pavimento. Ognuno aveva un pallino rosso dipinto sul naso per qualche motivo che non ho mai capito. Lei in braccio a qualche sorriso pudico quando mi intercettava nel pubblico. Le avevo insegnato a fare il pollice su, quando voleva farmi sapere che tutto era ok. Ci siamo scambiate quel gesto, lei dalla sua folla, io dalla mia, almeno tre volte.

Isabelle guarda attenta, le piace, si riempie di Natale.
Quando glielo chiedo di nuovo, vuoi fare lo spettacolo?, mi dice di sì. Le ho fatto cambiare idea,

i bambini sono così malleabili alle aspettative, alle emozioni dei grandi.

Adesso picchietto i tasti mentre sta ancora dormendo, la febbre a 38, la tosse incessante. Ho sperato fino all’ultimo di poterla vedere là. Era la cosa più bella di questo primo anno di asilo che tutto sommato ancora mi amareggia un po’, mi detta una solitudine che non ho ancora addomesticato.

Mi dispiace. Mi sembra un regalo al contrario.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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