«MI ALZO SOLO PER BUTTARE LA CARTA NEL CESTINO»
Carissimo Daniele Novara, qui si assiste alla più perfetta e performante orchestrazione delle paure di chi comanda, con quelle degli insegnanti stessi. Conosco troppe maestre che temono ancora il contagio da parte dei piccoli, che fingono di accettare malvolentieri le normative date dalle dirigenti mentre in realtà non saprebbero farne a meno, e sono le prime a fare cattiva informazione continuando a istruire i bambini sulla necessità delle misure
«per il bene di tutti, perché anche voi potreste contagiarmi», vendendo il falso pur di non ammettere il proprio terrore.
Queste parole le sento riportare dai miei figli quotidianamente, pronunciate dai loro insegnanti.
Come possiamo insegnare ai figli il coraggio, il diritto, la vita, in questo concerto coercitivo di paure?
Mio figlio, seconda media, alla mia domanda se si alzi ogni tanto per fare due passi, risponde: «Sì, ma solo per buttare la carta della merenda nel cestino. Io poi non vado neanche in bagno, quindi quella è l’unica volta che mi alzo».
Mia figlia, quinta elementare, ascolta un compagno: «Maestra, andremo in giardino?».
La risposta, lapidaria: «No, a noi non serve. Ci vanno quelli che non possono fare distanziamento in aula, ma noi abbiamo spazio sufficiente, non ce n’è bisogno».
E dove sono finite, le proposte di parchi, musei, spazi pubblici? Dov’è finita la voglia di rinnovarci?
Li vedi uscire come un esercito di pupazzi, di solitudini imposte: è persa la mano, la fila a due a due. Il branco, il calore. Sembrano in un coprifuoco perenne, ti aspetti che adesso arriverà una granata.
La stessa maestra, presto, ricordando la necessità di mascherine e intoccabilità del materiale, ribadisce che dobbiamo proteggerci tutti.
Dietro questa apparente giovialità e cura, abbiamo persone – docenti e dirigenti – vittime di abuso informativo e di paura accecante, incapaci di pensare. Ma questo non mi stupisce:
in che modo potrebbero avere il coraggio e la capacità di dire la propria, di rivendicare diritti per questi poveri alunni, quando da sempre faticano anche solo a portarli in giardino a correre nelle pause, argomentando che la colpa è dei genitori apprensivi che poi fanno causa per un ginocchio sbucciato?
Queste sono le stesse maestre che vogliono sicurezza. Dunque in un simile frangente danno il «meglio» di sé, ossia ciò che di sé più è consueto, radicato, e da sempre palese.
Perché avete scelto questo mestiere?
Perché date la colpa ai genitori?
Avete mai sentito un’infermiera interrogata dal primario, dire: «No, Dottore, non ho fatto l’iniezione al paziente perché aveva paura di farsi male e io dei suoi urli»?
Forse che un dentista non ti curerà una carie perché teme che lamenterai dolore?
Chi è, che sceglie?
I maestri vittime di genitori apprensivi non cerchino la colpa in questi ultimi, ma la paura in sé stessi. O cambino lavoro. Perché insegnare è un mestiere di coraggio. Forte e viscerale come una gestazione. Sangue e palpiti, scambio, sudori, liquidi, impeti, ere, nascite, morti. Vadano a fare i cassieri. Vadano a spostare bancali di surgelati. Lavoro dignitosissimo, ma dove non è richiesta la viscerale partecipazione al concerto della crescita.
Mi indigno, ma non sono sorpresa. Come ho già detto, nelle difficoltà chi è brillante saprà uscire ancora più brillante, e chi è mediocre ancora più mediocre. Ma quello che più mi strazia è che questa mediocrità venga insegnata. Che questa paura venga insegnata. Che questa irragionevolezza venga insegnata. Come giusta.
Le difficoltà sfoderano in noi capacità impensate solo se non c’è via di fuga. Qui la fuga c’è, e si chiama Covid, CTS, precauzioni, protocollo d’Istituto. Ai bambini insegniamo che, dinanzi alla paura, si disegnano linee invalicabili. La perfetta scatola dove chiudersi per evitare l’occasione, finalmente, di volare verso il coraggio, la creatività, l’amore e la vita.
«I problemi non possono essere risolti allo stesso livello di conoscenza che li ha creati» (Albert Einstein)
Grazie al contributo sempre attento, accorato e professionale di Daniele Novara: «Le regole. Ma la paura non prenda il sopravvento».
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