C’È UN PUNTO OPACO, UN CRINALE, DOVE IL PENSIERO INIZIA A INTIMIDIRSI, SI RITRAE, VA E VIENE, COME L’ACQUA DEL MARE SULLA BATTIGIA. OGNI VOLTA CHE SI RITIRA SCOPRE UN LEMBO DI SABBIA IN PIÙ: QUELLA SABBIA È PAURA.
La chiesetta ha il portone serrato. Me lo aspettavo. Un Dio rinchiuso, io orfana su un marciapiede: ci sarei entrata, giuro. Sarei entrata e avrei pregato in qualche modo, rimestando e ripescando versi di preghiere pregate per decenni e poi lasciate alle correnti.
Sono uscita, il foglio per ritirare gli esami di sabato scorso in mano. Sono uscita e non so nemmeno io perché, con quel foglio tra le dita, in tasca, morbido e ribelle come me, come una scusa.
Sull’ultimo tocco di zapping, ieri sera, siamo caduti sulle notizie: la strage di Parigi.
“Mia madre era a Parigi oggi” mi dice Mathias. Non in quella parte della città, ma la città è forata da una lingua di odio che trivella e arriva dove non si sa. Da amici che non conosciamo, forse sono usciti a cena, a bere. Il Bataclan no, su quello siamo tranquilli. Noi. Mentre la vita si accascia. Noi sul nostro divano ancora a fiori, lui manda un sms, per sicurezza, così. Lei non risponde.
“Dorme” commento, “l’ha spento, è chiaro.”
La notte ci ha portati alla deriva coi sui trucchetti onirici da due soldi. Tant’è: nessuno pensa più.
Stamattina alle 9 ancora niente.
La colazione ci attende, scodelle mute tra le grida dei bimbi: è troppo presto per preoccuparsi. Mathias digita, compone il numero. Spento. Spento.
Prova anche a casa di sua madre, su, al nord, magari non c’è andata, nella capitale.
La voce di lei saluta vicina e lontana, da una segreteria.
Rientro: “Saputo qualcosa?”
Il cucchiaino tintinna come un campanello nella tazza del suo caffè. Gira, gira, sembra che anche i suoni siano diversi dal solito.
L’orologio segna le 10.10: ha lancette come braccia stanche, le muove piano, vorrei soffiarci su, spingerle, soffiare sul tempo e sullo spazio, su, fino a svegliare quella donna. Vorrei essere a dopo.
C’è un punto opaco, un crinale, dove il pensiero inizia a intimidirsi, si ritrae, va e viene, come l’acqua del mare sulla battigia. Ogni volta che si ritira scopre un lembo di sabbia in più: quella sabbia è paura.
Ora siamo seduti sul divano, che non ha più fiori.
Ogni minuto i figli zompettano, Mathias gli urla dietro: non abbiamo i nervi per un solo breve scompiglio, un cuscino lanciato, un salto un canticchiare troppo forte. Cere: così siamo e così è tutto, in questa casa.
Comincia l’Attesa.
La tv sul canale delle notizie. Il cellulare acceso, nemmeno posato davanti: in mano, sempre, segue Mathias in camera, in cucina, in salotto, al cesso. Lo segue e tace, il bastardo.
Doveva andare da parenti, poi, per pranzo. Chiamiamo loro, chiamiamo altri. Voci corrono dove possono, ascoltano chi possono: lei è spenta, spenta ancora, spenta sempre. Non ha risposto ai messaggi, non ha risposto alle chiamate.
Chi cazzo sono i suoi amici? Un numero, un fisso, forse il cellulare non prende, il traffico il caos, trovatemi il numero di quella casa.
Nessuno sa nulla.
Lei non c’era: non era fuori a cena, non era in giro. Lo so. Lo sappiamo.
Ma quel mare fottuto s’agita e la sabbia ci arriva in gola.
Tocco mio marito, il mio uomo, e non so come farlo: non so mentire la sicurezza che ci vuole. Io non so mentire.
La mattina è una serpe lenta. Con gli zii è caduta la linea, non siamo più riusciti ad averli: è vero, le linee sono disturbate.
È già pranzo, i bambini mangiano una polenta. I nostri piatti sono vuoti.
Ci arriva un messaggio di una zia, col numero di quegli amici: chiamiamo, non riusciamo.
Imbraccio l’aspirapolvere e aro il pavimento: su e giù, avanti indietro, mi tengo occupata. E, mentre seguo quel mio movimento, lo osservo quasi non mi appartenesse, Mathias si affaccia dalla cucina: “Mi ha scritto mio zio, sono riusciti a sentire mia madre.”
Hanno cenato in quella casa, pareti troppo spesse, senza campo per i cellulari. Non si sono mossi. Non ha chiamato, non ha pensato che il figlio si preoccupasse. Chiamerà adesso, in questo primo pomeriggio che finalmente si addomestica: la odieremo per la sua ingenuità. La odieremo e l’ameremo.
Era vero: lei non c’era.
Ho conosciuto l’inizio della paura. Ora rientro sul mio litorale. Ma guardo ancora fuori, dallo schermo di una tv che non smette di vivere, di morire e di raccontare: gli altri chi li riporta a riva? Chi salva gli orologi incollati all’angoscia?
Quale e quanto Dio ci vuole?
Commenti 7
non oso e non voglio immaginare le vostre ore terribili….il mondo mi piace sempre meno…..
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Alle due e rotte del pomeriggio la notizia degli zii che avevano sentito mia suocera ci ha salvati. Ma quanti sono ancora in ostaggio della paura, del dolore, della morte dei propri cari? Siamo in guerra…
troppi purtroppo….in ogni angolo del mondo………
Bel pezzo, MAdda! Oltre ad essere estremamente emotivo e poetico, come tuo solito, stavolta prende spunto da vicende di attualita’, esterne, cosa che sicuramente arricchisce il tuo repertorio e ti fa crescere come scritrice. Ottimo! Anch’io avevo pensato subito a possibili parenti/amici di Mathias a Parigi. Per fortuna tutto bene. Gran sollievo!
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Grazie Emy! Insomma… lo scopo in questo momento non era propriamente quello di accrescere il repertorio, ma abbiamo vissuto momenti così aspri che poi domenica ero ancora molto scossa e non potevo far altro che dare forma a questo sentire scrivendo.
Non riesco nemmeno ad immaginare l’ ansia 🙁
Per fortuna è andato tutto bene!
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Grazie 🙂 Sì, non è stato un sabato molto rilassante!