Altre Verità

Il treno

Così sale su quel treno. Ripensa agli scompartimenti di una volta. Si creavano quei piccoli ostelli intimi, gente che sfiora i ginocchi del vicino, chiedeva scusa e poi ci nasceva una storia. Altre salivano mute sui bagagli, vuole una mano? Col tempo aveva imparato a dire di sì.

I libri. Quelli, quando li sbirci, fanno più del documento. Ci metti insieme il biglietto della destinazione che due dita spingono lungo le pagine a segnalibro, e già sai milioni di cose. Ci fai un firmamento: unisci i punti come ti pare, Orione, l’Orsa Maggiore.

Un libro e lo scompartimento. Erano il grande segreto del viaggio.

E poi si era seduti in faccia, schierati: tre di qua, tre di là. Non poteva mai capitare che non incontrassi lo sguardo di qualcuno. Se ti piaceva, raccoglievi a canestro. Se non ti piaceva, avevi la diga di quel romanzo divenuto improvvisamente irresistibile. Ti ci incollavi gli occhi. Di tanto in tanto li aggrappavi ai margini. Così con la coda vedevi sfocate geometrie e magari ci ripensavi. Quando la bocca sapeva di sale, aveva bisogno del risciacquo gentile di due parole.

Alla stazione seguente facevi un balzo. Chissà chi sale. Chi scende. Si creano piccole famiglie, negli scomparti. Viaggi nei viaggi. Teste allineate per un tratto, nella folla del vivere.

L’altra moneta di scambio era il cibo. C’era sempre qualcuno con uno snack, un pacchettino di cracker. A lei piaceva procedere, tirava altre due linee su quelle merende: no, non è di certo fidanzato, carattere giocoso perché mangia i Ritz, la fede già aveva visto che mancava e in qualche riflesso al finestrino aveva giocato a togliergli gli occhiali, vedere che faccia avrebbe appena sveglio, se è uno che sa amare come le donne domandano. Le gambe dovevano essere aperte, maschili e solide. Non avrebbe mai chiacchierato con due ginocchia accavallate. Ma poi finiva che parlava uguale. Parlava anche con la signora e il nipote, riscattava qualche bambino dalla noia, la vecchia dagli anni.

Esiste un patto segreto tra chi viaggia: essere.

Nessuno verrà mai a domandarti davvero chi sei, nessuno verrà a verificare quanto dici, né a riscuotere il suo pegno. Nessuno saprà se era vero che eri felice e curioso, se poi eri sul serio single come piaceva indovinare dai Ritz, se avevi qualcuno o nessuno che ti aspetterà sulla banchina o la sentirai morderti il culo in quelle piastrelle nude.

Nessuno.

E così potendo essere tutto, finisce che invece sei tu.

Davvero felice o davvero triste. Davvero impaziente o davvero annoiato.

Nessuno verrà a domandarti e quindi sai rispondere.

Sui treni e negli aeroplani, nelle stazioni e negli aeroporti spese le verità più vivide.
Ma adesso sale su quel treno fatto come oggi fanno le cucine: openspace. Tutto si apre e i cuori vedi che si chiudono. Si rannicchiano su piccoli schermi. Nemmeno le gallerie che interrompono la rete sollevano gli occhi. E poi con chi parli? Ti pare che fai un torto, siamo tutti e nessuno, pensa.

E le mancano quei viaggi, quell’utero dello scompartimento.

Le sigarette che poi nascevano con chi infine te l’eri davvero incollato per gran parte del tragitto. E nei corridoi potevi ancora tradire la salute. Fuori correva il mondo e si abbassavano due dita di finestrino.

Le mancano quei sedili di pelle che sanno d’umanità, tutto quel vivere. Apre il tavolino, la valigia sta a terra, in uno slargo alle sue spalle: nemmeno c’è bisogno, che qualcuno t’aiuti.

 

[Photo by Shane Aldendorff on Unsplash]

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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