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Maternità

Il giorno che sono diventata madre

ERO UNA DONNA DIETRO A UN TAVOLO LANCIATA LONTANO, SCAGLIATA IN UN VOLO INVISIBILE E RAPIDISSIMO. OGNI TANTO ESTRAEVO LO STICK, MI METTEVO A GUARDARLO. CONTROLLAVO: LE DUE STRISCE ERANO ANCORA LÌ

 

Il 27 novembre 2007 arrivai in ufficio in ritardo. Ero sveglia da ore, rincorrevo il pensiero di quel bicchierino di plastica rimasto da qualche Natale passato nel pensile più alto della cucina. L’avevo preso e messo in bagno la sera prima. Aspettava.
Mi ero alzata e ci avevo fatto pipì. Poi ero tornata a letto. Più tardi decidemmo di farlo quella mattina, di usare quella raccolta con le stelle di Natale, di non attendere oltre.

Arrivai col mio tampone in borsa, vivo e zitto, clandestino quanto la notizia, il bambino, il mondo che mi si frantumava dentro, da cui ne spuntava un altro.
Qualcuno aveva ammutolito gli uffici, la città, le strade. Allagato tutto. Ero una donna dietro a un tavolo lanciata lontano, scagliata in un volo invisibile e rapidissimo. Ogni tanto estraevo lo stick, mi mettevo a guardarlo. Controllavo: le due strisce erano ancora lì. Ero entrata in quell’universo anelato da sempre, nella stanza delle “Altre”. Seduta al trono degli eletti. Anch’io. Invitata alla Festa.

Guadagnai la sala riunioni e telefonai con urgenza alla mia ginecologa. Lei non rispose, provai più volte, lontana dalla mia postazione, chiusa in segreto, col timore d’essere beccata.
Poi la sua voce raccolse il mio appello: “Dottoressa” le dissi quasi allarmata, “sono incinta! Cosa faccio, quando vengo?”

Mi fa tenerezza quella ragazza coi jeans stretti stretti, un po’ più seno del solito, piccola dentro a una notizia grande, che ci sta a galla per forza divina, perché la Vita l’ha scelta e non la fa cadere, la tiene a pelo d’acqua, così, come le ninfee. Con quel cuore che si gonfia d’orgoglio per il trono cui ha avuto accesso e intanto si ritira nel pudore e nella paura per questo ignoto che è lei ma non è lei, è e sarà, potente e senza appello.
Di là la dottoressa, dal mondo degli uomini, dal giorno comune che non si è spaccato in due per uno stick, che non si scuote per una telefonata, risponde con serenità ferma: “Aspettiamo la sesta settimana, così possiamo sentire il cuore.”

Il cuore.
Il cuore, perché un grumetto di cellule rotola giù per la tuba, va a cercarsi un posto sicuro nel grembo. Scende sospinto da quel tessuto cigliato e dal mistero, e intanto le cellule si moltiplicano, e la pallina cresce. Poi si sceglie una zona della parete uterina, vi si impianta, una parte ci si mischia in maniera salda, si fonde. Forze fisiche, reazioni chimiche. Ma un giorno alcune di loro danno un colpetto. Un altro. Un altro ancora.

Alcune di loro, in un certo momento, improvvisamente prendono a pulsare. E di lì in poi saranno il cuore di un essere umano per sempre.

“Il cuore?” rispondo. “D’accordo.”
Chiusi la porta alle mie spalle, tornai alla mia postazione e annotai l’appuntamento sull’agenda.

È quel giorno, che sono diventata madre.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 4

    1. Post
      Author
      Maddalena Capra Lebout

      Ciao!
      grazie a te per la lettura e i complimenti. Had a look at your blog: too nice! Sei simpaticissima, I read some of your wishes for the future (in this and your next life…), and found out you also are so sweet. Un abbraccio da una rainy Milan,
      Madda

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