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Maternità

Il Dio speciale delle madri

HO ABDICATO DA TUTTO, MI SENTO UNA MADRE ASSENTE, I FIGLI LO STANNO IMPARANDO, LI VEDO FARE A MENO DI ME

 

Quando ti ammali pensi un sacco. Va anche bene, se c’è ancora spazio per il pensiero. Se non stai tutta rigurgitata in una paura. Ma sta di fatto che pensi. Anche in un’influenza che ha il solo guaio di durare nove giorni.

Come si scompone il quadro esatto della normalità, per esempio. Come nei grandi eventi, quando la notte e il giorno si davano le gomitate e non sapevi mai chi la spuntava. E all’ora del pranzo non c’era un solo tegame sul fuoco, un solo piatto in tavola.
Fuori il cielo impazza di blu e ti sembra un cartellone pubblicitario, l’osservi come qualcosa che non ti riguarda. Il marito che va in ufficio, i figli a scuola, qualcuno che li va a prendere, e poi il campanile fuori, il mezzogiorno, i programmi della tv, i bambini che cenano col papà di là di una porta chiusa. Questi piccoli segnali sono la bussola di un tempo dilatato e analfabeta.

Di quell’asteroide su cui fluttui, lontano da tutti.

Si sono ricostruite le geometrie, i miei avanti e indietro, quest’anno non c’è una ragazza universitaria, un chicchessia che peschi i miei figli all’uscita per la consegna a domicilio. Di quelle che dopo due volte ti fai trovare in tuta e non importa: intanto ti ha raccolto i bambini.
Mathias si è preso un giorno, poi per il resto galleggiavo, Patrick malato anche lui, dopo la tachipirina si mette a farti la partita di calcio, quella vecchia palla sonora di stoffa che ormai batte come una pendola stanca, la musica l’ha persa dopo due rigori. E lo preferivi prima, un cencio di poco conto. Ti chiedi se esiste un antidoto al paracetamolo.

Si scende come si scende negli scantinati. Prima la luce forte che scroscia sull’entrata smette oltre un rombo sicuro. Poi delle sue auree, sorelle minori, non resta che pulviscolo sempre più scuro, premi il primo interruttore, il secondo, scendi nelle fauci del palazzo. Dove finiscono le ridondanze del giorno. Cominci a togliere: il libro rimane sul baule, hai fatto due pagine e poi basta. Non esci, non ti muovi, non scrivi, spegni il televisore. Non mangi, nemmeno sforzandoti, perdi piacere in tutto e ti sale quella cosa che somiglia alla nostalgia di te.

I bambini arrivano come flash, rapidi, episodici, Isabelle si è colorata una maglietta coi colori per stoffa, non ha protetto il retro, così adesso sulla schiena ha tracce incerte dello stesso fiore, del gambo. È incinta, nasce la sua bimba e la chiama Stufetta, “perché si stufa”. Immagini come queste mi arrivano come i bagliori tra una galleria e l’altra. Ho abdicato da tutto, mi sento una madre assente, i figli lo stanno imparando, li vedo fare a meno di me.

E allora penso. Quando sei malato pensi un sacco. La gente in ospedale, i bambini, ma soprattutto le madri.

Quelle malate davvero. Quelle Madonne che mantengono agli occhi minuti dei figli la loro verginità, che un colpo storto di nessuno le ha sbattute fuori campo. E invece loro trovano come giocare lo stesso. E come fanno? Come hanno fatto a ingoiare quella notizia che aveva le cuspidi e le spade? Come fanno con quella spossatezza che le divora, se si lasciano vedere, se abdicano anche loro, come se lo perdonano?

Come si perdonano di amare in modo così enorme, del tutto sproporzionato, da un corpo che è una cannuccia in cui soffiare poco più di un bacio stanco?

Penso alle loro ore lontane. Di geografia o anche solo d’intenzione. Comunque fisicamente altrove, costrette alla separazione, a rinunciare a ciò che più di tutto le teneva vive.
Contare i giorni che mancano. Alla visita della domenica, a quei piedi piccoli che inondano il corridoio e poi lo spengono quando se ne vanno. Alle luci che restano nella corsia a veglia di una notte sole. Ai pensieri che fanno, anche loro. Al Dio speciale delle madri, che deve prendersene cura.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 13

  1. Silvia Fanio

    Come ti capisco.
    Io sono stata a casa in malattia 4 giorni.
    E non mi sono potuta concedere il lusso di stare a letto e riposare.
    Che difficile essere madre. Soprattutto se stai male…

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      Maddalena Capra Lebout

      Sono riuscita a riposare abbastanza nonostante tutto, ma ho fatto ricorso sfrenato agli schermi (iPad etc), ho trascurato tutti, mi sono chiusa in camera da letto appena c’era Mathias che guardava i piccoli, se no stavo sul divano. Nove giorni pesanti. E mi sembrano un’eternità (sperando di essere in via di guarigione). Ciao cara. :*

  2. Mammavvocato

    La verità è che ammalarsi, per una madre, è un lusso che non ti puoi permettere, una tragedia. Non tanto per i figli, per la madre stessa.
    Non so come facciano le madri che hanno più di una semplice influenza. Me lo sono chiesta spesso e, nel leggere il tuo post, mi viene da piangere a pensarle.

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  3. Lorenzo

    “Oggi sono stanca mi aveva detto”, vado dai miei così tinteggi al camera della piccola. Ok dico io. Quando vado a prenderle mi ritrovo il mio amore sdraito nel letto con la febbre a 40. La situazione non mi convinceva, la prendo in braccio (non riusciva a camminare) la porto dalla guardia medica e dico alle bimbe “tranquille porto la mamma dal dottore e poi torniamo”. Avevano 4 ed 1 anno (all’epoca eravamo a 2). Sono tornato a prenderle a mezzanotte (glielo avevo promesso che sarei tornato a prenderle) da solo, La mamma è stata ricoverata per accertamenti. “Quando torna la mamma?” “non preoccuparti hanno detto domani” e così mi hanno ripetuto per i successivi 4 giorni. 5 giorni di ricovero senza potergliele portare. La grande ha ancora oggi il terrore dell’ospedale (che gli aveva portato via la mamma). In quei giorni io ho capito molte cose. La piccola di un anno quando la mamma è tornata a casa è riuscita solo ad abbracciarla ed a piangere (per fortuna che i bambini piccoli…non capiscono). I pensieri di una mamma malata non riguardano la malattia, ma sono rivolti solo ai sui bimbi.

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      Maddalena Capra Lebout

      Ciao Lorenzo, bello ritrovarti e – purtroppo – triste la tua esperienza, mi commuovi, penso alle piccole, a tua moglie, a te… Spero che poi si sia risolta senza nulla di grave, ma questi pensieri mi scuotono molto.

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  4. Emanuela

    Sono in lacrime dal ridere x Stufetta!!! Bellissima!!!!!!!!!!!!!!!!
    Mi spiace invece che ti sei beccata l’influenza e Patrick con te. Ma da voi dicembre e’ sempre lo sterminio!? Buona guarigione. Baci

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      Maddalena Capra Lebout

      Poi si è fatta una settimana Sarah: sono 3 settimane intere e di fila che ho qualcuno a casa (o ero malata io). Spero che riusciremo a partire per Courmayeur perché ci teniamo tutti e i piccoli lo aspettano da un mese. :*

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