Maternità

Gusti e disgusti – Parte 2

Si può mai avere qualcosa nella vita senza rinunciare a qualcos’altro? In gravidanza questo è vero il doppio (forse perché il feto ti toglie l’altra metà di cose che eri riuscita a salvare alle rinunce?).
Ai bagordi indotti dalle voglie si contrappongono una serie di indelicate “questioni”, prima fra tutte le “anti-voglie”. Nessuno ha coniato un nome per questa parte della faccenda, forse per non gravare ulteriormente sulla già provata neomamma, ma alle voglie si accompagnano dei rifiuti altrettanto viscerali per alcuni cibi: non parlo di tiramisù al curry o bistecca allo sterco di vacca. Parlo di cibi comuni, o perfino di quelli prediletti o abituali fino a poco prima.
Le chiamano educatamente “alterazioni del gusto”, ma sono in verità alterazioni del desiderio: il sapore non è così diverso dal solito, se riesci ad assaggiare l’alimento rifiutato, solo che per assaggiarlo devi prima concettualizzarlo, vederlo, annusarlo, portarlo alla bocca. Un processo che solitamente si ferma al primo step: l’immaginazione. Ben prima delle papille gustative, il fatto è che è come se ti costringessero, che so, a mangiare sushi alle tre del mattino. Qualcuno ti sveglia e ti porta del pesce crudo: è fuori luogo, semplicemente. Solo che ti succede coi cereali a colazione.
Disgusti: cornflakes e qualsiasi cereale, biscotti, cioccolato, frutta secca, marmellate, miele.
Abituata a fare colazione con yogurt e cereali e merenda con biscotti e cioccolato mi trovo come un naufrago su una zattera a forma di pizza o focaccia ;-).

Mia sorella ha una casa enorme, una cucina gigantesca e, non ultima, una stanzetta, una sorta di ripostiglio attiguo alla cucina, che un tempo era in realtà una cella frigorifera e che, spenta da secoli immemori, è ormai quella che nel mondo civilizzato si definisce comunemente “dispensa”. Noi, le volte che andiamo a trovarla, vi facciamo ingresso quasi di soppiatto e, soprattutto, di nascosto dalle tre bambine, per evitare che seguano il nostro esempio di inguaribili golosi. Perché in quello stanzino mal illuminato albergano vivande di ogni genere, dolci soprattutto, tali da meritargli l’appellativo di “stanza della vergogna.”
Ora, noi una cucina così grande non ce l’abbiamo. Uno stanzino della vergogna nemmeno. Però, nel nostro piccolo, abbiamo allestito un mobile alto quanto un uomo ben piazzato, sulla parete d’ingresso della cucina. Ante di vetro a metà, semicoperte da tendine di dubbio spessore, celano montagne di biscotti, cioccolata, merendine, latte, frutta secca, dolciumi vari, caramelle e cose che a volte ci dimentichiamo perfino di avere.
Mentre mi allungo verso il bancone alla ricerca del caffè (rimasto illeso alla tempesta graviDazionale), mi fermo davanti al mio secondo marito: la vetrinetta della vergogna, appunto. Mi accorgo che abbiamo smesso di cercarci. Non solo: devo passarci dinanzi distrattamente, perché se lo osservo sul serio, se guardo dentro, quello che serba per una che non sono più io, per la Vicky di un’altra vita, mi dà fastidio da stringermi la gola. Dove sono finita?
La vera vergogna non è quel mobile: sono io! Con un conto tra l’altro assolutamente impari: lasciare quell’universo di roba dolce per cosa? Un pacchetto di patatine e un po’ di maionese?!
E qui arriviamo al mondo alimentare della gestazione: un mondo piccino piccino. Che tenerezza! Perché se alla lista delle “intolleranze gravidiche” si aggiungono poi tutti i cibi da limitare causa indigeribilità e quelli da evitare causa rischio contagio (toxoplasmosi, listeriosi, salmonella, etc…) alla fine cosa potete fare?
Sorridere a chi vi becca in flagrante a ingoiare porzioni americane di pizza al trancio alle dieci del mattino, acquistate con la scusa di comprare uno snack alla bambina (il vantaggio di avere altri figli).

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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