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Maternità

Extreme makeover: newborn edition

extreme makeoverFa sorridere anche me, a pensarci, ma la metafora migliore che trovo è quella della luce al fondo del tunnel. Quella delle esperienze pre-morte, il malato che è attratto con forze indicibili da questa luce sovrannaturale e, intanto, attaccato, avvinghiato alla sua vita terrena, cui è appartenuto finora.
Uscire dal cosiddetto primo puerperio è un po’ così.

Come previsto, il tempo ovattato dei primi giorni, la simbiosi assoluta con la piccola (compatibilmente con l’esistenza degli altri figli) e la presenza costante del marito avrebbero presto ceduto il passo a un progressivo ampliamento d’orizzonti. Mi conosco, sapevo che solo vivendo bene il primo passo, avrei ritrovato le forze emotive per il seguito.
E così torna la voglia di altro. Mentre la creaturina vivrebbe solo di me, sua madre, piano piano, smette di vivere solo di lei. La natura, in questo, non ha prodotto una sincronia impeccabile. Forse è la contesa tra il mio spirito di conservazione e l’istinto di sopravvivenza della piccola. Di fatto, volente o nolente, mi arriva la voglia di ritrovare le mie cose. La vita “normale”.
Sì: ma dov’è?

La mattina a scribacchiare per il blog oppure a caccia di immagini. Il pomeriggio con Sarah e Patrick, il sonnellino, la merenda. Il ritorno di Mathias, due chiacchiere interrotti “solo” dai due che si contendono il diritto di giocare al pc, un po’ di step perché mi sconsigliarono la cyclette in gravidanza (pare che non favorisca l’elasticità delle parti intime), una cena più o meno serena, lavare i denti ai bambini, leggere il libro, cantare la canzone. E poi la sera si schiude: aperta come braccia amorevoli. Lui e io.
Dormire interrotta da qualche sosta al bagno e una pastiglia di Maalox, ma dormire. Dividendo il letto solo coi piedi troppo lunghi del marito e una pancia fuori misura.
Alzarsi stanca ma tutto sommato padrona di se stessa e del proprio tempo, e cominciare una nuova giornata. Decidendola.

Mi viene in mente anni fa, mio fratello che parla di figli: “A un certo punto credo proprio che sia una cosa bella e giusta. Non ha più senso stare in due. Si vuole qualcosa che vada al di là della coppia, che dia un senso più profondo. Proprio un valore. Non solo perché i bimbi fanno tenerezza, perché piacciono e così via.”

Bellissime parole. Ai tempi Sarah era ancora piccola abbastanza da stare tutta arricciata al fondo della carrozzina.
Ero d’accordo. Sono d’accordo. Spolverai la piccola con un’occhiata rapida e languida, poi tornai a mio fratello: “Hai ragione. Però, credimi, è la tenerezza, quella che ti terrà sveglio le notti. Che ti farà tener duro. Che ti porterà avanti. Il valore è nobile, ma per quanto ‘alto’ e prezioso non ti farà arrivare al mattino.”

È un po’ come all’inizio della gravidanza, il senso profondo, la gioia più pura, coesistono misteriosamente con una sorta di sconforto e di perdita, sopravvivendo a un generale sapore di mediocrità: cosa c’è di così poetico, lucente e radioso in quello stomaco ritorto, nel seno dolente, nella rinite perenne, nell’insonnia, nelle paure che ti assalgono neanche fossi una novellina?

La poesia del neonato s’infrange sulla matematica della quotidianità:

  • 10: scariche giallognole al giorno.
  • 12: cambi pannolino (10 per i motivi di cui sopra, più altri 2 per pipì).
  • 8: ore dedicate all’allattamento esclusivo (nel senso che esclude qualsiasi altra attività materna), al netto di cambi pannolino, addormentamenti neonatali o materni, stimolazione per risveglio, pausa ruttino, giretto per riprendersi, riattacco e stacco per dolore capezzolo.
  • Almeno 7: sacchi della spazzatura sul terrazzo in attesa di smaltimento (di cui solo 3 o 4 di pannolini).
  • 4: numero minimo di caffè al giorno.
  • 5: ore di sonno lorde.
  • 0.5: ore consecutive di sonno notturno.
  • Imprecisato e in balìa del caso: numero di ore a propria disposizione. Variabili da 0.5 a 4 consecutive.
  • 10, destinati al rialzo: tempo di reazione materna (in minuti) al pianto della piccola. Si noti come questo tenda inesorabilmente ad allungarsi col passare dei giorni e il calo dell’iniziale apprensione e solerzia.

Di fatto, se la matematica non è un’opinione, “tornare alla normalità” è una frase senza capo né coda. Un po’ come in quel programma alla tv, dove un team va in soccorso di una qualche famiglia disagiata, occupandosi di donarle una casa nuova di zecca, bella da togliere il fiato: la famiglia viene sgomberata, mandata in vacanza per una settimana. Intanto quelli radono al suolo la vecchia casa e ne erigono, a tempo record, una nuova. Si chiama “Extreme makeover: home edition.”
Quelli tornano e trovano tutto cambiato. Sono felici fino alle lacrime. Solitamente, sotto la banale traduzione “Mamma mia!” si legge il labiale “Oh my God!”

Be’, io ho sempre pensato che non avrei il coraggio di farmi distruggere tutto, nemmeno sapendo che mi aspetta un sogno. Forse è proprio questo che mi frega: “Extreme makeover: newborn edition”.

Isabelle ha fatto tabula rasa. Seguirà il meglio del meglio di prima. L’amore trasuda anche nel casino di questi giorni di transizione. Troveremo una nuova normalità, e sarà più ricca che mai.

Ma al di là di tutto, mentre riattacco quel piccolo mammifero al petto per la terza volta alle tre di notte, mentre conto che siamo già al quinto tentativo di poppata e la mattina scivola via senza nessuno e senza ciò che ero solita fare. Mentre si cena a turno perché le colichette hanno un tempismo pazzesco. Mentre non indosso una blusa che non sia un pigiama da quindici giorni…
Come potrei resistere, non fosse per questi?

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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