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Maternità

Dove cominciano i figli?

COME FACEVA, MIA MADRE?
FACEVA CHE ACCOVACCIATA, A DIRMI “SU, DAI, AMORE MIO, OGGI SCEGLIE MAMMA COSA FARE ANZICHÉ PASSARE IL TEMPO AL PARCO GIOCHI O ALLA TV”, MIA MADRE NON C’È MAI STATA

 

“Sto facendo un disegno per farmi perdonare dalla mamma.”

Isabelle seduta coi suoi pennarelli che passa fino a sfondare la carta. Sfondati siamo noi. In vacanza non si è più rilassati, si è quasi più esigenti, perché all’ennesimo stridere tu non glielo permetti, e a quei tre furetti che paiono draghi sputafuoco gli rinfacci che è anche la tua vacanza, e la voce ti sale in cima al becco senza che manco t’accorgi. Che poi Isabelle tra i tre era la più docile, vivace e allegra, perché è ancora piccola. La verità è che crescendo non si posano, diventano molto esigenti, e

non basta una bocca a cuore. Il cuore sì, quello ti basta anche. Solo che a volte sei invecchiato e non te lo ricordi.

E poi c’è sempre che tutto questo ascoltare i figli, ti fai un mazzo tanto e poi ti aspetti cosa? Il premio Strega perché hai passato tutte le selezioni? Hai scritto un capolavoro? No, caro genitore: sei sempre tu e i tuoi gessetti. La tua lavagnetta. Finché arrivi al fondo della gola, li spiani con una sgridata che ti stupisci tu stesso, azzeri tutto. Fanculo l’empatia la famiglia ideale le pale del mulino che adesso vedi che girandole. Non lo so perché, ma nel momento esatto in cui ti concedi d’essere la bestia che sei – perché siamo bestie, perché anche noi genitori a un certo punto dobbiamo dar fondo alla collera, da qualche parte la dobbiamo soffiare, possiamo mica sempre assorbirla come lo Scottex…- in quel momento esatto… loro s’allineano. Tornano su dritti come li avessi pettinati col gel. Che allora un po’ ti senti ‘na merda, “ma come, non era questo, che volevi?”, un po’ però ti chiedi anche:

ma non sarà che a sti figli gli diamo troppa scelta, troppo retta?

Mia madre ci teneva due mesi secchi qui in montagna: sì, proprio dove siamo adesso, in questo paesino che si veniva su gli ultimi di giugno. Capitava che era il 29, me lo ricordo perché è il suo onomastico. Le donne gonfie dei covoni di fieno, noi bimbi muti per quattro ore di viaggio, le canzoncine, i cracker sui sedili. Avremo rotto i coglioni come li rompono tutti i bambini, immagino. Però arrivavamo e io mica mi ricordo una sola voce alzata, un pianto: io mi ricordo le donne e i covoni.

Poi uscivamo a cena, mia mamma no, perché a lei la macchina dava fastidio e allora se ne stava a casa. Per noi era speciale così, soli col babbo. Che poi il babbo giusto il tempo di disfare la roba e respirarsi l’Alto Adige la domenica mattina, si andava a Messa perché a nessuno sarebbe venuto in mente di lamentarsi o rifiutare. Si passava tra le tombe del piccolo cimitero coi fiori e le foto ovali. E dentro, in quella chiesetta di montagna, faceva sempre un freddo fottuto. Ma anche lì, mica rompevi le scatole: lo sapevi, ti mettevi il golfino di cotone,

non stavi a contrattare per ore “no, lo metto dopo, non lo voglio, lo voglio slacciato, lo voglio con la zip a metà”.

La sera della domenica mio padre tornava a Milano. Grand’uomo. Atri 400 chilometri. Mia madre ci teneva con sé, quassù. Due mesi, quattro figli: da sola. Grande donna. Lui saliva nei fine settimana, e poi due settimane ad agosto, quelli che l’azienda del nonno chiudeva o facevano i turni, o sa la Madonna, ma io non lo sapevo, a noi figli saperlo non serviva. Perché eravamo bambini: e ai bambini li si lasciava essere bambini. Magari col pantalone alla zuava, scomodo e già demodé. I calzettoni rossi che pungono e gli scarponi duri che pesavano come badili. E andavano lucidati, su e giù con spazzolino e tubetto: li lucidavamo noi. Magari senza tanta pseudo-pedagogia. Però bambini, figli:

quelli che le regole le subiscono, non le decidono.

E non è che fossimo queste grandi vittime. Giocavamo, ci trovavamo sempre qualche compagnetto del piano di sotto, davamo insalata alle galline, lanciavamo palloni nel prato e palle nelle lezioni di tennis al mattino, che le gambe ti si gelavano perché spesso avevi il campo alle 9. Ma certo non ti lamentavi.

Come faceva, mia madre?

Faceva che accovacciata, a dirmi “su, dai, amore mio, oggi sceglie mamma cosa fare anziché passare il tempo al parco giochi o alla tv”, mia madre non c’è mai stata. La tv nemmeno. E comunque il parco c’aveva due altalene, mica i tunnel, la zip-line, la rete per arrampicare.

Faceva che a tavola mangiavi quello che c’era.

Che al mattino le dava fastidio averci ancora a letto anche se era vacanza, e allora prendeva la scopa elettrica e cominciava a sbattere contro la porta. Non erano mica le sette, e nemmeno le otto. Erano le nove e mezzo, magari. In ogni caso ci si poteva incazzare pochissimo. Pochissimo.

E insomma mica dico che era meglio o che era giusto. Però era. Adesso invece a volte non so dove sono.

Poi penso che tutta questa vicinanza, questi confini che a loro servirebbero nitidi, servono chiari anche a noi:

dov’è che finiamo di imporci e ci regoliamo sui bisogni dei figli?

Forse dopo un po’ a star così legati sempre come nei girotondi una strattonata capita per forza. Forse troppo fiato gli uni sugli altri, troppo insieme i desideri, poi s’affannano, si prendono a gomitate. A un certo punto ci vuole la sirena, il botto, per riprendere le misure.

Però ci si schianta anche di baci e disegni per fare pace. Io, con mia madre, la pace non la facevo.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 3

  1. Lorenzo

    Ciao Maddalena, quanto hai scritto lo ho pensato spesso e volentieri, specie in queste ultime vacanze. Concordo anche con quanto scritto da Giulia nel commento precedente. Con il primo figlio è facile cadere nell’errore di concentrarsi su di lui. Quando arrivano gli altri i nodi vengono subito al pettine. Poi c’e anche il discorso caratteriale, ma questo è un altro aspetto. A me sembra che adesso si metta tutti allo stesso livello. A volte ricordo alle mie bimbe che certe risposte le possono dare ai loro amici, non ai genitori o ai nonni. Una volta c’era anche più rispetto, vero o presunto, verso le persone più grandi di te, ed anche verso le cose. Ci si lamentava ed incazzava in silenzio, adesso invece lo fanno in modo molto chiassoso. Adesso sembra che tutto sia dovuto.
    Un saluto
    Lorenzo

    1. Post
      Author
      Maddalena Capra Lebout

      Sono d’accordo con tutto ciò che dici, sai? Forse non si può avere botte piena e moglie ubriaca, se abbiamo coi figli una certa empatia e comunione è facile tendere a trattarsi da pari. Io mi rendo conto che in moltissime piccole cose faccio fatica: un’ora fa a cena Sarah voleva il banana split. Gliel’avevo promesso, quindi ok. Per un momento ho pensato che una banana intera, col gelato, il cioccolato e la panna, fosse troppo. Eppure anziché decidere io di darle solo metà banana (o, almeno, cominciare così), istintivamente ho chiesto a lei: “Ma la mangi intera?” Nulla di tremendo, dirai. Eppure mentre glielo chiedevo mi sono accorta che in fondo cosa vuoi che ne sappia una bambina di nemmeno otto anni. Di quanto è grande e pesante un banana split…

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