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Altre Verità

E di noi, chi si cura?

STIAMO SALVANDO VITE, STANDO A CASA. MA SENZA UN PIANO ORGANIZZATIVO STIAMO CREANDO SOPRAVVIVENZE

 

C’è chi parla di «dittatura sanitaria». Chi dice che una cosa è in Cina, lì si può, si poteva, sono abituati ai regimi. Qui invece non è possibile imporre una quarantena così restrittiva. Io penso il contrario: per scimmiottare la resilienza di una democrazia, di un capitalismo, di una sacralità economica e finanziaria, abbiamo diluito la quarantena, prolungando oltremisura la negazione della democrazia e della libertà del singolo e collettiva.

Abbiamo aspettato a chiudere esercizi commerciali come i ristoranti, i bar, i tabacchi, le edicole. Siamo andati per gradi. Così non ci sembrava di fermarci. Si grida all’emergenza ma si adottano misure ibride. Si tolgono le risme di carta dai supermercati ma si lasciano girare individui ribelli e vittime di un finto coraggio. Si tengono aperte aziende non indispensabili però si chiudono i parchi giochi, i bambini sono condannati, ma i cani vengono pascolati regolarmente. Le scuole sono state le prime a chiudere: tutti i bambini sono andati dai nonni, da quegli stessi anziani che volevamo proteggere.

La quarantena andava fatta in modo serrato, più totalizzante possibile. La dittatura di poche settimane avrebbe salvato vite e accelerato il ritorno alla democrazia.

Ho detto, fin dall’inizio: «Se la parola “divieto” vi fa paura, sostituitela con “responsabilità”. Se la parola “responsabilità” vi opprime, sostituitela con “cura”». Un piano d’emergenza è, per antonomasia, un piano non pianificato: misure senza misura, improvvisate. Ma nel tempo bisognava cominciare a progettare la quarantena. La cura non dobbiamo averla solo nei confronti di chi sta soffrendo e di chi, giustamente, vogliamo proteggere, restando a casa.

Noi restiamo reclusi per il bene di tutti, noi abbiamo cura per il bene di tutti. Ma chi, ha cura di noi?

Normalmente una situazione di reclusione ha luogo in due casi: le monache di clausura, e i carcerati. Le prime l’hanno scelta e, suppongo, vi si avviano gradualmente. I carcerati sono in cella per detenzione. Per quanto si possa sperare che quell’isolamento li trasformi e rieduchi, fondamentalmente sono isolati per non arrecare danni ulteriori alla collettività. E hanno comunque socialità e l’ora d’aria.

Qui non si è pensato a molti aspetti. Non si è pensato, per esempio, a dare dei termini di tempo. Delle indicazioni.

L’indeterminatezza è psicologicamente uno degli affronti peggiori che la nostra mente possa gestire.

Sarebbe utile un tempo, un piano, per provvisorio che sia, somministrarlo volta per volta. Fermiamo tutto per tre settimane. Ma tutto davvero. Due o tre settimane per volta, una scadenza che segni sul calendario, una data di aggiornamento: serve a darci speranza, contenimento. Intanto creiamo un pool di esperti che si inventino qualcosa. Intanto lanciamo un’indagine e un bando per nuovi progetti, arruoliamo psicologi, artisti, creativi, ingegni e sociologi che avanzino proposte e monitorino la situazione. C’è tanta gente a spasso (si fa per dire): arruoliamola. L’energia non si crea né si distrugge. Si trasforma. Non è possibile che tutti perdano, qualcuno guadagna per forza. Solo le aziende di mascherine? Solo le ditte farmaceutiche? Solo Amazon? Intanto forniamo carta ai bambini, supporto psicologico alle famiglie e a chi è solo. Fai un brainstorming, raduni su Zoom un team di esperti, ti fai venire qualche idea.

Per esempio una scuola unificata anziché mille spunti da maestre spaesate. Per esempio un notiziario a misura di bambini: li abbiamo portati via da scuola dalla sera alla mattina, non gli abbiamo detto più niente.

Per esempio una autocertificazione che dia la possibilità di fare la quarantena nella casa di villeggiatura dichiarando che in caso di malessere rientrerai nella città di residenza. Almeno hai un giardino, almeno hai un panorama. Per esempio il diritto a uscire a chi vive in aperta campagna. «Ma questo privilegia chi ha una seconda casa o la possibilità di due passi nella natura, e penalizza chi non ce l’ha. Non tutti possono…» Dunque è preferibile penalizzare tutti?

I bambini hanno tenuto botta meglio di noi adulti, perché hanno un’energia, un’adattabilità, una fantasia che la natura gli ha dato perché sopravvivano sempre. Qualcuno, mi scrivono in chat le mamme dell’asilo, ormai si è «abituato» alla situazione. Mi spaventa. Mi fa meno paura Giorgia che si dibatte e piange perché non può uscire, o Sara che soffre perché «ho lasciato i miei disegni all’asilo». Mi fanno meno paura i miei figli che giorno dopo giorno sono sempre più irritabili e litigiosi. E non sanno nemmeno dire perché. Tu puoi spiegarglielo in mille modi, ma le spiegazioni che dai saranno per quello che vedi. E quello che non vedi?

Ci si arrangia. Ci autogestiamo, ci diamo consigli fai da te su WhatsApp, creiamo gruppi Facebook, e in quei gruppi chiamiamo psicologi volontari.

Il primo articolo utile che leggo è del noto Pellai. Il famoso psicoterapeuta non è arruolato dallo Stato, quello stesso Stato che decide la quarantena, bensì dal Corriere della Sera. Per leggere il suo pezzo, devi essere abbonato.
A furia di ricerche indipendenti cado finalmente su una sua intervista, e su un progetto per i minori: si chiama #iocistodentro, è un link in http ossia bloccato in automatico da chi ha un browser nuovo, ed è il massimo che ci è offerto
. Vi invito a guardarlo. Nessuno, in ogni caso, che lo abbia pubblicizzato.

Le campagne sui media ci ricordano di restare a casa, figurano irrevocabilmente gli anziani e il personale sanitario.

Nessuno che si curi ufficialmente di come somministrare informazioni ai bambini, di come sostenere genitori magari abilissimi in condizioni normali, che adesso si trovano di fronte figli potenzialmente problematici. Bambini che avendo i genitori sempre sotto mano, spontaneamente perdono autonomia come già farebbero al netto delle difficoltà odierne. In più, però, vivono frequentemente piccole regressioni, cercano più sicurezza, sono decisamente più fragili.

«Ma tanto, i bambini se la cavano sempre».

Qualcuno mi spieghi perché difendere i più deboli significhi difendere unicamente gli anziani, e su cosa poggia l’accezione di «deboli». La verità è che i bambini, da sempre, sono chiamati a obbedire.

Eppure: i bambini non sono infrangibili.

L’emergenza, in quanto tale, deve essere temporanea e stringente, severamente controllata. Dopo: serve un piano organizzativo. Perché se diventiamo matti, ansiosi, incattiviti, depressi e traumatizzati, il mondo di domani sarà matto, depresso, traumatizzato.

Pensare ai bambini non significa solo proteggere i deboli: significa promuovere il mondo.

Possiamo fare di meglio. Dobbiamo fare di meglio.

Stiamo salvando vite, stando a casa. È necessario. Non lo nego. E ne sono fiera. Ma stiamo creando sopravvivenze.

 

[Photo by Raphaël LR on Unsplash]

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Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 2

  1. mamma avvocato

    appunto. non viviamo, sopravviviamo. Per quanto tempo? Sicuramente a lungo, perchè gli esseri umani sono animali e tra gli animali, i piu’ bravi ad adattarsi ai nutamenti di stato. Eppure sopravvivere non è vivere. Ne la vale la pena? Per ora si’ ma poi..? Per quanto tempo?
    Per non penalizzare gli anziani, abbiamo rinchiuso tutto. non abbiamo assunto misure a misura di situazioni, ma usato il distorto concetto di uguaglianza per trattare ugualmente situazioni disuguali. Non stiamo salvanod nessuno, stando a casa, io ne sono certa. Stiamo solo procrastinando l’inevitabile, che sia la malattia o la morte o il fallimento economico. E pagheremo un prezzo altissimo. Noi ed i nostri figli. Io obbedisco, ormai rassegnata, consapevole di non esserein linea con questa strategia, con gli italiano che leggo e sento sui sociali.

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      Maddalena

      Io confesso di essere confusa. Virologi diversi dicono cose diverse. Quindi non mi pronuncio sulla scelta stessa di stare in quarantena: se ogni stato ha risposto con questo strumento, o sbagliamo tutti, o un fondamento c’è. Tuttavia non è pensabile navigare a vista. Nessuna nave lascia il porto senza un minimo di rotta. Non dico subito, ma ormai le scuole sono chiuse da un mese e mezzo. Ci sta salvando il culo solo la tecnologia: non le teste. Non i cuori. Perché i cuori di chi ha bisogno (tutti, ma in particolare i cosiddetti “deboli”, quindi bambini, persone disabili, malati, persone sole, chi ha qualche problema di natura psicologica, etc) sono stati del tutto trascurati. Se dapprima ho abbracciato con gioia la misura dell’isolamento e io stessa contrastavo chi doveva per forza vederne i difetti, adesso il tempo comincia a parlare per me. E per onestà e obiettività ci sono cose che vanno viste. E dette. Ciao carissima, un abbraccio.

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