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Maternità

Ciao amore, a dopo

E POI RACCONTAMI. QUELLO CHE VUOI

 

Quando ti sembra di non pensare a niente in verità pensi troppo. I pensieri si sommano come in una girandola che sembra bianca.

C’era Daniela, stamane. Ti fa paura. Ha quel tono vigoroso, Sonia non era in classe e allora hai stretto le mie gambe. Finché è arrivata lei, ti ha proposto i travasi che ieri ti hanno divertita e fatta leggera, sorridente. Forte.

Leggera e forte non sono mica contrari, lo capirai, nella vita.

Io lo sto ancora imparando.

– Aspetta, la saluto.
Lei si ferma, ti prendo: – Ciao amore.
Ti metto un bacio sul cuore. Sorrido.

Ho immaginato questa scena troppe volte e adesso vengo via senza pensare. Il non pensare di chi è in quella girandola che ho detto.

Avevo immaginato il salone. Quel guado che di colpo si fa interminabile, salutare le commesse all’ingresso e poi uscire a piangere nel sole. Invece il salone è breve. Vado decisa, guadagno l’uscita. Spendo i primi passi su un viottolo da sempre dissestato, le mani vuote si rinfrancano nelle tasche. Calo gli occhiali da sole su occhi secchi e stanchi. Non per te: per tua sorella, per me. Per questi passi che da mesi vanno e vanno e mi sembra di non fermarmi mai. Sono così abituata a procedere, controvento e controsole.

Avevo pensato al parchetto, quello quando lo vedi deserto al mattino ti punge come una rosa sfiorita. Avevo pensato al portone. Girare la chiave senza tenere aperto per nessuno. Senza dire togliete le scarpe. Senza infilare dentro un passeggino.

Invece sono arrivata senza incertezze. Soltanto lenta. Ho camminato sulle ombre rettilinee delle ringhiere come faresti tu. Ho aperto la porta, posato il mazzo di chiavi. Levato le scarpe. Mi sono messa in piedi nel mezzo del salotto, stamattina non hai avuto il tempo per giocare, sugli scaffali non è rimasto che un ordine scarno e zitto. Sono un vigile senza pedoni né auto da dirigere. Sulle pareti le foto di sempre. In quelle incolonnate accanto alla tv tu hai due anni. Gli occhi che mangiano la vita.

Va bene vederti felice, là in mezzo, in questo inizio. Ne ho bisogno. Ho bisogno che la tua autonomia mi renda orgogliosa, mi sussurri hai fatto un buon lavoro.

Non bisogna confondere l’autonomia dei figli con la mancanza di attaccamento emotivo. Così come l’incapacità a staccarsi non è segno di amore ma di difficoltà.

Penso a quante cose buffe farai senza i miei occhi, alla tua vita che si dirama dalla mia. Penso a quanto ridiamo, tu sei una che ride forte, Isabelle, basta aver capito male una cosa, aver cliccato sull’iPad la canzone sbagliata. Basta inciampare, fare i cretini. Basta che un morso di pane parla e gli esce uno sbavo di marmellata.
Dai le tue risa e prendi: all’asilo c’è un mondo intero da mangiarti con quegli occhi. E poi raccontami. Quello che vuoi. Qualcosa resterà squisitamente tuo, come è giusto che sia.

Cominci a essere davvero tua.

Quando abbiamo deciso di cercarti avevo appena ripreso a scrivere. Volevo investire sulla scrittura, provare a farne qualcosa. Ti abbiamo trovata subito, ho pensato la metterò al nido, qualche mattina, qualche ora almeno.

E invece.

Ci siamo portate accanto un blog e ci è bastato. E tu sei stata – sempre – la mia scelta migliore.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 8

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  1. Silvietta Fanio

    “Non bisogna confondere l’autonomia dei figli con la mancanza di attaccamento emotivo. Così come l’incapacità a staccarsi non è segno di amore ma di difficoltà.”

    Quanta verità!

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      Maddalena Capra Lebout

      Approvato da te, Educatrice, mi dà ulteriore convinzione. In questi mesi l’esperienza con Sarah mi ha insegnato come quella ricerca forsennata della mamma possa essere in realtà un sintomo di disagio. L’amore e la giusta autonomia viaggiano e crescono insieme. Grazie Silvia.

  2. Elisabetta

    “Così come l’incapacità a staccarsi non è segno di amore ma di difficoltà” Ecco, leggo la tua frase e mi chiedo dove ho sbagliato io… iniziamo la terza settimana di pianto all’ingresso della scuola elementare. Piedi piantati a terra, non voglio entrare. Non voglio andare a scuola. Lacrime e braccia strette a koala sulla mia gamba. Ah, dimenticavo… vuole che lo porti solo io, non il papà. Così il magone e i sensi di colpa me li acchiappo tutti in un sorso, grazie. Anche la scuola non è che ci viene più di tanto incontro… due rampe di scale e un corridoio lungo prima di raggiungere la porta, cxxxx, ma mettile al piano terra le prime… non che non sia capace di far le scale, casa nostra ne è piena, ma la scuola non è casa sua, e lui non prende tanto confidenza con gli ambienti che frequenta da poco…. non so più cosa inventarmi… e detto da una creativa è un’altra sconfitta.
    Confido nella bidella che, a pochi minuti dall’inizio, lo accompagna sù… impietosita, forse più da me che da lui. (E, ovviamente, mi prendo anche una caxxionata perché non potrei nemmeno entrare nell’ingresso)
    Tutti mi ripetono: è un momento, gli passerà. E speriamo. E aspettiamo. Ma se uno in un posto non ci va volentieri un motivo ci sarà…
    Un abbraccio Eli

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      Maddalena Capra Lebout

      Carissima Elisabetta, un po’ ormai mi conosci, e sai delle fatiche che stiamo avendo con Sarah. Per questo, per ora, sono sollevata che Isabelle stia iniziando l’asilo col sorriso. L’esperienza di questi mesi durissimi mi sta insegnando che no, la difficoltà a separarsi non è sinonimo di amore. Hai citato la mia frase e io, per te, per me, per tutte le mamme in difficoltà, vorrei aggiornarla così:
      “l’incapacità a staccarsi non è segno di amore ma di difficoltà. E la difficoltà non è segno di errori nostri o di colpe, ma di incroci che cercano i propri equilibri.”
      Sicuramente possiamo fare qualcosa per aiutare i nostri bambini, ma le loro difficoltà non nascono necessariamente e unicamente da errori nostri: loro sono persone a sé stanti, i messaggi che inviamo, la forma del nostro amore, a loro arrivano interpretati e filtrati da un temperamento, una personalità squisitamente personali. Nel post Un filo nel vento scrivevo: “Non siamo forme concentriche siamo due e siamo una, siamo quello che una fa dell’altra e quello che nessuno potrà mai fare di noi stessi.” Assolversi è difficile, io lotto ogni giorno. E, in ogni caso, permettimi di dirti che l’inizio delle primarie è una botta pazzesca, per molti. Per Sarah, a quanto vedo, è stata la causa ultima che ha fatto franare un animo forse molto più sensibile di quanto avessi creduto di conoscere. Ti sono vicina, tieni duro, un grande abbraccio!

  3. mamma avvocato

    In questo post leggo l’inizio di un nuovo capitolo della vostra vita, tua e di Isabelle, ma anche una dichiarazione di amore materno toccante e poetica, di quelle che solo tu sai scrivere.
    Buona scuola, Isabelle e buon tempo per la scrittura, Maddalena.

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