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Maternità

Ci abbiamo provato

IL NOSTRO TENTATIVO DI ANIMALE DOMESTICO

 

P1080644_pe_wprnDesi ha trovato una coccinella. È la prima cosa che mostra a Sarah non appena raggiungiamo quel gruppetto di bambini alla festa nel parco. Prima ancora, forse, dei saluti.

Le piccole amiche si tengono per mano. Si raccontano aneddoti che iniziano con “Lo sai che…?” Giocano a madre e figlio, prendono i figli a scuola, chiacchierano muovendo le mani come donne cresciute, sulla soglia di casa. Non hanno bisogno di dire ciao per forza, starnutiscono senza dire “Salute!” Difficilmente chiedono come stai?
E quando scoprono un tesoro inatteso schiudono il pugno tenuto serrato nell’attesa…piano piano col timore di veder sparire il loro bottino: “Sarah, guarda!”

Desi le dona la coccinella, la mettiamo in un bicchiere di carta che chiudiamo con un tovagliolino. Poi la trasferiamo in una bustina traforata che conteneva un barattolo di bolle di sapone. Così respira.

Un’ora più tardi la coccinella è già parte della nostra famiglia: dondola incerta nella sua bustina appesa col nastro al parasole della macchina.
Sarah le vuole già bene: “Dammela, la metto fuori così prende fresco.”
La natura ci porta a un istintivo accudimento, fin da piccoli.
Il finestrino abbassato del tutto, la macchina corre, la coccinella svolazza con prepotenza, la busta impugnata con tutta la forza di cui Sarah è capace.

Alla Viridea cerchiamo una casetta.
Nella (Nella la coccinella, ormai ha già un nome) appesa al carrello.
Viene con noi a guardare le capre, Isabelle nutre gli ovini con qualche foglia secca e i suoi gridi squillanti di eccitazione. Rientriamo a osservare pesci e roditori. E lì, sui conigli, quasi quasi ci lasciamo tentare: “Io un coniglio lo prenderei.”
“Mathias, non ti bastano tre bambini?”

Punto il dito verso quelle perle nere di cacca che, nella remota eventualità di cedere alla tentazione, ritroveremmo per casa, qua e là, o tra le labbra ingenue della petite.
Dice che no, lo lasceremmo in gabbia, lo tireremmo fuori solo per farlo accarezzare dai bambini.
“Sarebbe bello, per loro: imparano a prendersi cura di qualcosa.”

Chissà, forse ha anche ragione. Ma io mi immagino l’ora di punta: le nove di sera. Lo sclero che d’abitudine s’accompagna alla messa a letto, che, per ancestrale disorganizzazione, coincide con il riordino della cucina, i bambini che saltano pieni di un’energia disseppellita improvvisamente senza ragione, oppure nervosi, all’opposto, per una stanchezza schiacciante. E noi davanti a uno stupido coniglio che, suppongo, dovrà pur uscire qualche volta, mangiare, lavarsi, e fare i suoi bisogni. In una gabbietta messa non saprei dove. Da pulire anch’essa. E, come a questa, penso alle altre mille “ore di punta”: i tempi concitati del prepararsi per uscire, per la scuola, per un giro, la spesa, una commissione, un viaggio.
Insomma: NO.

“Facciamo così – suggerisco – : quando hai voglia di un coniglio vieni qui e ne guardi due o tre. Poi torni a casa.”

Veniamo via senza coniglio, senza gabbia e senza (!) casetta per Nella.
A casa la sistemiamo in un vasetto di vetro, la solita bustina fissata con un elastico per capelli le fa da coperchio. E impedimento alla fuga.

Passano ben due giorni, dati da una proverbiale incapacità di gestire una forma vivente diversa da quella umana, che finalmente a qualcuno viene in mente di nutrire sta povera bestia.
Un pizzico di zucchero (così abbiamo letto), un’uvetta e un tappino con due gocce d’acqua.
Nella riprende le forze, spero ci abbia perdonati.

Mi sfugge la ragione del tappo: che utilità può avere, per una coccinella, crearle un posto apposito per bere, un abbeveratoio?

P1080634_pe_wprnPoche ore più tardi, avendo forse esagerato con l’acqua, qualche goccia rotola sul bordo alla base del vasetto.
E cosa può accadere, a trenta gradi, se non un prevedibile scioglimento di zuccheri in quel piccolo rivolo?

Cara Nella, sei stata con noi per quattro lunghi giorni: i primi due non hai mangiato né bevuto. Il terzo eri (sicuramente) felice. Il quarto ti sei incollata a quella miscela appiccicosa causata dalla nostra (mia) incuria. Un’ala di fuori, il tuo ultimo, disperato e vano tentativo.

Altro che coniglio.
Ora Sarah è fuori in giardino con papà. Ha chiesto, almeno, di darle degna sepoltura.
E fortuna che non ha sofferto (Sarah).

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 4

  1. Sara B

    ahaha, che storia dolce e triste allo stesso tempo!
    Noi abbiamo due pesci rossi, ovviamente abbiamo scelto il tipo di animale domestico che richiedesse meno cure giornaliere perchè casa nostra è già abbastanza caotica così.
    Però è davvero bello vedere come i bambini amino occuparsi degli animali.

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      Maddalena

      … quindi suggerisci un pesce rosso? Ci avevamo pensato, ma non si può toccare… Quanti figli hai e di che età? I miei quasi 7, quasi 5 e quasi 1 e mezzo.

  2. danielazeta

    Per lo stesso motivo noi abbiamo un pesce rosso, che nonostante me, resiste da un anno e mezzo. Prima delle elementari non accetterò altri mammiferi in casa a parte quelli umani…ovviamente mio marito mi sostiene sempre e ha promesso ai pargoli una capretta. Che bello.

    1. Post
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      Maddalena

      Ahhh… sai quanto puzzano le capre? Io faccio “Capra” di cognome (ebbene sì) e solo di recente, avvicinando quelle vere, ho capito perché si dica tanto “puzzi come una capra” 😉 Quindi pesce rosso anche tu. Hmmm… Quanto meno non aggiunge rumore!

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